di Massimo Minelli

Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’intento è encomiabile, ma fa a pugni con la fabbricazione e l’export delle armi italiane. Nel corso del 2020 il totale delle nuove autorizzazioni rilasciate per esportazione di materiale d’armamento ha raggiunto i 3.927 milioni di euro di controvalore, in deciso calo (-25%) rispetto al totale per il 2019 (che era in linea anche con l’anno precedente). Va ricordato però come il 2020 sia stato “l’anno della pandemia” con un impatto molto forte sull’economia del Paese, che sembra però non aver travolto in maniera eccessiva il comparto bellico. Il volume delle esportazioni militari starebbe quindi gradualmente scendendo dopo i picchi di autorizzazioni iniziati con il 2015 (8,2 miliardi in quell’anno e poi 14,9 miliardi nel 2016 e 10,3 nel 2017). Si tratta comunque di un livello complessivo di un miliardo di euro maggiore rispetto ai valori del 2014, per cui si può confermare l’analisi già fatta in passato: le esportazioni record del triennio 2015-2017 hanno trascinato le commesse per l’industria militare italiana su un livello medio superiore a quello di inizio secolo.

In decisa ascesa (come già ipotizzato dalla nostra Rete in passato, in conseguenza dell’alto livello di licenze concesse negli anni passati) il dato dell’export reale: l’Agenzia delle Dogane registra infatti avanzamenti annuali di consegne definitive per complessivi 3.393 milioni di euro (2.696 milioni per licenze singole e 696 milioni per licenze globali di progetto) con un incremento del 17% rispetto all’anno precedente. Si capisce immediatamente che è un business non indifferente per i nostri governanti e imprenditori del ramo. Al primo posto dei “contribuenti” c’è l’Egitto, poi gli Stati Uniti, Inghilterra, Qatar, Germania, Romania, Francia, Turkmenistan, Arabia saudita, Emirati Arabi Uniti, Spagna.

Questi dati confermano come la produzione militare italiana non sia indirizzata alla difesa e alla sicurezza del nostro Paese e a quella comune europea, ma risponda sempre più a logiche di profitto delle aziende produttrici di armamenti, soprattutto quelle a controllo statale. Sono proprio i Paesi Extra Nato-Ue i principali destinatari di sistemi militari italiani, senza considerare che si esportano in Nord Africa e Medio Oriente (zone tra le più instabili da un sacco di tempo). La domanda è: siamo un paese a carattere fortemente pacifico? O dietro una maschera di “non belligeranza” alimentiamo guerre e non, un po’ come tutti gli altri?

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