Armando Linares aveva denunciato in un video, con la voce rotta dal pianto, l'assassinio del giornalista Roberto Toledo che collaborava con "Monitor Michoacán". Ora è toccato a lui: è stato ucciso con 8 colpi di pistola. L'associazione indipendente Articolo 19: "La maggior parte delle violenze è commessa da autorità pubbliche"
“Noi non siamo armati, non abbiamo armi, la nostra unica difesa è la penna, una matita, un quaderno”. Così il giornalista messicano Armando Linares, direttore del portale di notizie Monitor Michoacán, annunciava in un video con la voce rotta dal pianto l’assassinio di un suo collaboratore, Roberto Toledo, lo scorso 31 gennaio. Questo mercoledì, anche Linares è stato zittito per sempre. Secondo il giornale locale El Sol de Morelia, il reporter è stato ucciso nella sua abitazione a Zitácuaro, nello stato di Michoacán con otto colpi di pistola di fronte alla sua famiglia. Si tratta dell’ottavo giornalista ucciso da inizio anno in Messico, il Paese non in guerra più letale per la stampa.
Linares aveva denunciato le continue minacce che il giornale e i suoi reporter ricevevano via WhatsApp e Messenger. “Mostrare la corruzione dei governi, dei funzionari e dei politici ha portato alla morte di uno dei nostri colleghi”, spiegava il direttore in quel video. In un comunicato rilasciato questo mercoledì da Monitor Michoacán e rivolto al presidente Andrés Manuel López Obrador si legge: “Le richieste di aiuto di Armando non sono state ascoltate, le autorità sono state negligenti non fornendogli i meccanismi di protezione necessari per garantirne l’integrità. Ora è morto”. Linares riceveva minacce dal 2019, secondo El Sol de Morelia.
Leopoldo Maldonado, direttore regionale di Articolo 19 – un’organizzazione indipendente che promuove e difende i diritti di libertà di espressione –, intervistato dalla giornalista messicana Gabriela Warkentin nel podcast Al habla lo scorso lunedì ha affermato che dal 2000 a oggi si sono registrati 151 assassinii di giornalisti nel corso di diversi governi: quello di Vicente Fox (centro), Felipe Calderón (centrodestra), Enrique Peña Nieto (centro) e quello attuale di López Obrador (sinistra). “Se confrontiamo il numero di omicidi di comunicatori durante il mandato di Fox e quello di Calderón vediamo che si sono duplicati. Durante Peña Nieto sono rimasti stabili. Con l’attuale tendenza è molto probabile che supereremo la cifra registrata nei due precedenti mandati”. Più del 95 per cento di questi crimini resta impunito e agli omicidi si aggiungono anche le sparizioni: dal 2000 al 2021 sono 29 i giornalisti scomparsi, che più nessuno sta cercando e che non hanno mai avuto giustizia, secondo i dati dell’organizzazione.
Articolo 19 ha registrato inoltre 644 aggressioni contro giornalisti solo lo scorso anno, una ogni 14 ore. “La maggior parte di queste vengono commesse dalle autorità pubbliche: nel 2021 sono state il 42 per cento”. Maldonado ha spiegato che se si prendono in considerazione le aggressioni più gravi, inclusi gli omicidi, si scopre che la criminalità organizzata è responsabile della maggior parte di questi delitti. Il direttore regionale ricorda che sono loro quelli che sequestrano o che premono il grilletto, ma avverte che “il confine tra autorità pubblica, soprattutto locale, e i gruppi criminali è molto labile”. E conclude: “Spesso i giornalisti assassinati stanno investigando queste relazioni e le stanno denunciando. Quindi, quando investighiamo il possibile autore intellettuale di questi crimini, è molto probabile che si scopra collusione tra la criminalità e le stesse autorità”.