Bocciato il sistema binominale maggioritario: il correttivo proporzionale, scrivono i consiglieri, è "insufficiente" e anche così i gruppi minori "saranno sottorappresentati". Porte girevoli: mandare al Massimario della Cassazione le toghe al termine del mandato elettorale avrebbe un effetto "illogicamente premiale". Le "pagelle" ai magistrati, invece, finirebbero "per stimolare il carrierismo"
La nuova legge elettorale proposta dal governo per i membri togati del Csm mette a rischio l’indipendenza della magistratura e le minoranze non iscritte alle correnti più forti. La stroncatura è contenuta nel parere sul progetto di riforma approvato all’unanimità in Consiglio dei ministri, un documento di 142 pagine licenziato martedì dalla Sesta commissione di palazzo dei Marescialli e indirizzato alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, che in questi giorni sarà discusso e votato dal plenum (l’organo al completo). Bocciata la previsione di un sistema binominale maggioritario – in ogni collegio passano i due candidati più votati – con una quota di seggi assegnata mediante il sistema proporzionale: il correttivo proporzionale, scrivono i consiglieri, è “insufficiente”: anche così, infatti, i gruppi minori “saranno molto probabilmente sottorappresentati mentre quelli di maggiori dimensioni, invece, sovrarappresentati”. L’ipotesi dei collegi binominali era stata criticata da molti addetti ai lavori: secondo i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo “sarebbe il trionfo del correntismo e del bipolarismo, che provocherà ulteriori spaccature e conflitti“. Al progetto di riforma è contraria anche la grande maggioranza delle toghe, che in un referendum interno convocato dall’Associazione nazionale magistrati ha espresso la preferenza per un sistema di tipo proporzionale.
Criticata nel parere è però soprattutto la norma che affida al ministro della Giustizia la “individuazione discrezionale dei collegi“. Si rischia così, secondo la Sesta commissione, “una modifica strumentale della composizione dei collegi per orientare il risultato elettorale, con evidente pregiudizio per lo stesso principio costituzionale di autonomia e indipendenza della magistratura”. Positivo il giudizio sullo stop alle porte girevoli tra politica e giustizia, con una riserva espressa però sulla previsione che al termine del mandato elettorale (o dell’incarico di governo) i magistrati possano essere assegnati all’ufficio del Massimario della Cassazione, uno dei posti più ambiti, “al quale si accede all’esito di un concorso per merito, anzianità ed attitudini”: l’effetto quindi sarebbe “illogicamente premiale” nei confronti di chi si candida, si legge. Mentre le “pagelle” ai magistrati sulla capacità di organizzare il proprio lavoro – graduate in “discreto, buono, ottimo” – “portando ad una inammissibile classifica tra magistrati dell’ufficio”, potrebbero “finire per stimolare quel carrierismo che la riforma vorrebbe invece eliminare”.
Se approvato in questi termini, il parere potrebbe rendere ancora più difficile l’iter parlamentare della legge, già assediata dai settecento emendamenti depositati da tutte le forze politiche in Commissione Giustizia alla Camera (poi ridotti a 250 su richiesta del presidente Mario Perantoni). Da lunedì prossimo si aprirà la discussione. Il premier Mario Draghi aveva annunciato di non voler porre la fiducia sull’approvazione del testo, ma il tempo stringe: la riforma infatti dovrebbe intervenire sul sistema elettorale entro le prossime elezioni dell’organo, previste a luglio.