Sui pm che parleranno alla stampa in casi non permessi dalla legge sulla “presunzione d’innocenza” piomberanno le sanzioni disciplinari. Ammonimento, censura, perdita di anzianità, persino la sospensione dalle funzioni o la radiazione: ecco cosa rischierà il procuratore capo che – a insindacabile parere del ministro della Giustizia – convocherà una conferenza stampa o emetterà un comunicato senza le “specifiche ragioni di interesse pubblico” citate dal decreto, o non rispetterà – sempre secondo il ministro – “il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli“. La previsione, passata sotto silenzio, fa parte della riforma del Consiglio superiore della magistratura e della legge sull’ordinamento giudiziario, approvata a febbraio dal governo e ora in discussione alla Camera. E non si ferma qui: punibile con le stesse sanzioni, infatti, è anche ogni magistrato della Procura che violi il divieto “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie (di qualsiasi tipo, ndr) agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, a prescindere quindi anche dall’interesse pubblico, valutabile soltanto dal capo.
Il nuovo illecito disciplinare – La norma completa il disegno varato dalla ministra Marta Cartabia fin dalla scorsa estate, con l’approvazione dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva Ue sul “rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza“, fatto inserire da Enrico Costa (Azione) nella legge di delegazione europea. Un provvedimento, entrato in vigore a dicembre 2021, che impone pesantissimi limiti all’informazione giudiziaria ed è stato criticato all’unisono dagli addetti ai lavori, sia giornalisti che magistrati. Fino adesso, però, i divieti ai procuratori capi di tenere conferenze stampa o diffondere comunicati in assenza di “interesse pubblico” e quello ai magistrati di parlare tout court con i giornalisti non prevedono sanzioni disciplinari in caso di violazione: l’inosservanza può rilevare sulle valutazioni di professionalità o in caso di azione civile (o addirittura penale) del danneggiato contro il pm che ritiene abbia leso i propri diritti. Con la legge proposta dal governo, invece, chi disobbedirà sarà colpevole di uno specifico “illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni” che entra a far parte dell’elenco categorico previsto dalla legge Mastella del 2006. E quindi sarà sottoposto in ogni momento alla spada di Damocle dell’azione disciplinare, il cui titolare esclusivo – insieme al procuratore generale della Cassazione – è proprio il ministro della Giustizia.
L’allarme di Area: “A rischio l’indipendenza” – Ad accorgersi della stortura sono stati i consiglieri al Csm della corrente progressista di Area, che chiedono di inserire nel parere sulla riforma al vaglio di palazzo dei Marescialli un allarme sugli effetti pratici che la nuova norma potrebbe avere. “In questo modo, se il procuratore fa un comunicato o una conferenza stampa e il ministro decide che la notizia non aveva rilevanza pubblica, potrà esercitare l’azione disciplinare”, dice al fattoquotidiano.it il consigliere Giuseppe Cascini, pm a Roma e già segretario dell’Associazione nazionale magistrati. “Il risultato – avverte – è che nessuno farà più comunicati né conferenze, per non rischiare di vedersi applicare delle sanzioni in un momento successivo. In questo modo si condiziona profondamente l’indipendenza dell’autorità giudiziaria”. Nel duro intervento svolto nella seduta di martedì, Cascini ha ricordato anche che “il 90% delle informazioni che i magistrati forniscono alla stampa vengono date per ristabilire la verità dei fatti, evitare la diffusione di notizie pericolose”. Con la nuova norma, invece, “nessun magistrato del pubblico ministero potrà mai più interloquire con i giornalisti” a pena di procedimento disciplinare: con l’effetto che “non si parlerà più di nulla, non si saprà mai più nulla, un fucile puntato su tutti i magistrati del pubblico ministero, in particolare sul procuratore della Repubblica, costantemente suscettibili di finire sotto l’azione disciplinare: io non so quanti vantaggi, dal punto di vista del diritto all’informazione e dell’autonomia e indipendenza dei pubblici ministeri, una cosa del genere possa produrre. Pensate – dice ai colleghi – se i magistrati della procura di Milano non avessero potuto parlare di Mani pulite, esprimere valutazioni o rilasciare dichiarazioni sul processo: ditemi voi se questa cosa ha una sua razionalità o meno”.
Il bavaglio ai pm? “Palesemente irrazionale” – Nell’emendamento al parere già licenziato dalla Sesta commissione e che dovrà essere votato dal plenum (l’organo al completo), i cinque togati di Area chiedono quindi di scrivere alla ministra che il nuovo illecito “presenta notevoli criticità con riguardo alla garanzia di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero”: le espressioni usate dal decreto Cartabia, infatti, hanno “un contenuto molto ampio ed elastico, rinviando a concetti quali “la rilevanza pubblica dei fatti” oppure “specifiche ragioni di interesse pubblico”, che si fondano su valutazioni discrezionali e di opportunità che non possono essere oggetto di sindacato in sede disciplinare”. Inoltre, notano i consiglieri, il divieto per i pm “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio” è “un divieto amplissimo, che involge qualsiasi dichiarazione e su qualsiasi procedimento, anche quelli definiti e anche quelli non trattati dal magistrato”, e quindi “palesemente irrazionale e in contrasto con il diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati. Con tali disposizioni – concludono – si rischia da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali, non solo quelli in corso ma anche quelli già definiti, e dall’altro si attribuisce al titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero”.
Gli emendamenti alla Camera – Del problema, peraltro, si occupa anche uno dei 250 emendamenti alla riforma “segnalati” dalle forze politiche in Commissione Giustizia, a firma di Alfredo Bazoli del Pd, che chiede di sopprimere almeno una parte della nuova norma. Ma ce n’è anche uno di segno opposto, depositato dai deputati di Forza Italia, che invece vorrebbero estendere l’illecito disciplinare anche alle autorizzazioni “eccessive” concesse dal procuratore alle conferenze stampa e ai comunicati stampa della polizia giudiziaria, e persino alla violazione del “divieto di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza“, un’altra delle previsioni contenute nel decreto.
Giustizia & Impunità
Riforma Csm, per i pm che “parlano troppo” scattano le sanzioni disciplinari: ecco la norma che potenzia il bavaglio del decreto Cartabia
Dall'ammonimento fino alla radiazione: ecco cosa rischierà il procuratore capo che - secondo il ministro della Giustizia - parlerà alla stampa senza le "specifiche ragioni di interesse pubblico" citate dal decreto. Stesse sanzioni anche per i pm che rilascino dichiarazioni o forniscano notizie di qualsiasi tipo agli organi di informazione. I consiglieri di Area al Csm: "Norma palesemente irrazionale"
Sui pm che parleranno alla stampa in casi non permessi dalla legge sulla “presunzione d’innocenza” piomberanno le sanzioni disciplinari. Ammonimento, censura, perdita di anzianità, persino la sospensione dalle funzioni o la radiazione: ecco cosa rischierà il procuratore capo che – a insindacabile parere del ministro della Giustizia – convocherà una conferenza stampa o emetterà un comunicato senza le “specifiche ragioni di interesse pubblico” citate dal decreto, o non rispetterà – sempre secondo il ministro – “il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli“. La previsione, passata sotto silenzio, fa parte della riforma del Consiglio superiore della magistratura e della legge sull’ordinamento giudiziario, approvata a febbraio dal governo e ora in discussione alla Camera. E non si ferma qui: punibile con le stesse sanzioni, infatti, è anche ogni magistrato della Procura che violi il divieto “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie (di qualsiasi tipo, ndr) agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, a prescindere quindi anche dall’interesse pubblico, valutabile soltanto dal capo.
Il nuovo illecito disciplinare – La norma completa il disegno varato dalla ministra Marta Cartabia fin dalla scorsa estate, con l’approvazione dello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva Ue sul “rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza“, fatto inserire da Enrico Costa (Azione) nella legge di delegazione europea. Un provvedimento, entrato in vigore a dicembre 2021, che impone pesantissimi limiti all’informazione giudiziaria ed è stato criticato all’unisono dagli addetti ai lavori, sia giornalisti che magistrati. Fino adesso, però, i divieti ai procuratori capi di tenere conferenze stampa o diffondere comunicati in assenza di “interesse pubblico” e quello ai magistrati di parlare tout court con i giornalisti non prevedono sanzioni disciplinari in caso di violazione: l’inosservanza può rilevare sulle valutazioni di professionalità o in caso di azione civile (o addirittura penale) del danneggiato contro il pm che ritiene abbia leso i propri diritti. Con la legge proposta dal governo, invece, chi disobbedirà sarà colpevole di uno specifico “illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni” che entra a far parte dell’elenco categorico previsto dalla legge Mastella del 2006. E quindi sarà sottoposto in ogni momento alla spada di Damocle dell’azione disciplinare, il cui titolare esclusivo – insieme al procuratore generale della Cassazione – è proprio il ministro della Giustizia.
L’allarme di Area: “A rischio l’indipendenza” – Ad accorgersi della stortura sono stati i consiglieri al Csm della corrente progressista di Area, che chiedono di inserire nel parere sulla riforma al vaglio di palazzo dei Marescialli un allarme sugli effetti pratici che la nuova norma potrebbe avere. “In questo modo, se il procuratore fa un comunicato o una conferenza stampa e il ministro decide che la notizia non aveva rilevanza pubblica, potrà esercitare l’azione disciplinare”, dice al fattoquotidiano.it il consigliere Giuseppe Cascini, pm a Roma e già segretario dell’Associazione nazionale magistrati. “Il risultato – avverte – è che nessuno farà più comunicati né conferenze, per non rischiare di vedersi applicare delle sanzioni in un momento successivo. In questo modo si condiziona profondamente l’indipendenza dell’autorità giudiziaria”. Nel duro intervento svolto nella seduta di martedì, Cascini ha ricordato anche che “il 90% delle informazioni che i magistrati forniscono alla stampa vengono date per ristabilire la verità dei fatti, evitare la diffusione di notizie pericolose”. Con la nuova norma, invece, “nessun magistrato del pubblico ministero potrà mai più interloquire con i giornalisti” a pena di procedimento disciplinare: con l’effetto che “non si parlerà più di nulla, non si saprà mai più nulla, un fucile puntato su tutti i magistrati del pubblico ministero, in particolare sul procuratore della Repubblica, costantemente suscettibili di finire sotto l’azione disciplinare: io non so quanti vantaggi, dal punto di vista del diritto all’informazione e dell’autonomia e indipendenza dei pubblici ministeri, una cosa del genere possa produrre. Pensate – dice ai colleghi – se i magistrati della procura di Milano non avessero potuto parlare di Mani pulite, esprimere valutazioni o rilasciare dichiarazioni sul processo: ditemi voi se questa cosa ha una sua razionalità o meno”.
Il bavaglio ai pm? “Palesemente irrazionale” – Nell’emendamento al parere già licenziato dalla Sesta commissione e che dovrà essere votato dal plenum (l’organo al completo), i cinque togati di Area chiedono quindi di scrivere alla ministra che il nuovo illecito “presenta notevoli criticità con riguardo alla garanzia di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero”: le espressioni usate dal decreto Cartabia, infatti, hanno “un contenuto molto ampio ed elastico, rinviando a concetti quali “la rilevanza pubblica dei fatti” oppure “specifiche ragioni di interesse pubblico”, che si fondano su valutazioni discrezionali e di opportunità che non possono essere oggetto di sindacato in sede disciplinare”. Inoltre, notano i consiglieri, il divieto per i pm “di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio” è “un divieto amplissimo, che involge qualsiasi dichiarazione e su qualsiasi procedimento, anche quelli definiti e anche quelli non trattati dal magistrato”, e quindi “palesemente irrazionale e in contrasto con il diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati. Con tali disposizioni – concludono – si rischia da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali, non solo quelli in corso ma anche quelli già definiti, e dall’altro si attribuisce al titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero”.
Gli emendamenti alla Camera – Del problema, peraltro, si occupa anche uno dei 250 emendamenti alla riforma “segnalati” dalle forze politiche in Commissione Giustizia, a firma di Alfredo Bazoli del Pd, che chiede di sopprimere almeno una parte della nuova norma. Ma ce n’è anche uno di segno opposto, depositato dai deputati di Forza Italia, che invece vorrebbero estendere l’illecito disciplinare anche alle autorizzazioni “eccessive” concesse dal procuratore alle conferenze stampa e ai comunicati stampa della polizia giudiziaria, e persino alla violazione del “divieto di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza“, un’altra delle previsioni contenute nel decreto.
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Parigi, 13 mar. (Adnkronos) - La regina Camilla ha inviato una lettera a Gisele Pelicot, la donna francese che il marito ha fatto violentare per anni da decine di uomini, per "esprimerle la sua solidarietà ai massimi livelli". Lo ha riferito a Newsweek un collaboratore reale, aggiungendo che la sovrana, che lavora da anni per le vittime di violenza domestica, ha voluto riconoscere "la straordinaria dignità e il coraggio" della donna francese.
Dominique Pelicot ha ripetutamente drogato e violentato la moglie Gisèle per quasi un decennio, ha reclutato decine di uomini per fare lo stesso e ha filmato più di 200 di queste aggressioni in un caso che ha sconvolto la Francia e il mondo. E la regina "è rimasta profondamente colpita da questi fatti e dalla straordinaria dignità e dal coraggio di quella donna nel render pubblica la sua vicenda", ha affermato la fonte. "Naturalmente, ha contribuito a mettere in luce un problema sociale molto significativo, nonostante tutte le sofferenze personali che aveva attraversato".
"Quindi - prosegue la fonte reale - come sostenitrice di lunga data delle vittime di abusi domestici e sessuali, la regina ha scritto in privato a madame Pelicot, determinata a esprimerle al massimo il proprio sostegno." La lettera è un esempio del modo in cui Camilla intenda fare a livello globale ciò che fa regolarmente in Gran Bretagna - scrive il Newsweek - come dimostra la visita del 6 febbraio a Brave Spaces, a Exeter, nel sud-ovest dell'Inghilterra. L'organizzazione benefica spera di trovare una sede permanente, ma al momento offre supporto alle vittime di violenza domestica da una stanza sul retro del CoLab, uno sportello unico che fornisce servizi di supporto a una moltitudine di persone vulnerabili.
Quando la busta con il sigillo della famiglia reale britannica è arrivata insieme a migliaia di lettere di sostegno, la signora Pelicot "era sbalordita, commossa e molto orgogliosa di vedere che era riuscita a portare la sua battaglia fino alla famiglia reale britannica", ha detto a Le Monde l'avvocato della donna, Antoine Camus.
Il processo per stupro di massa, durato tre mesi in Francia lo scorso autunno, ha visto 51 uomini condannati per un totale di 428 anni. L'elettricista in pensione Pelicot è stato incarcerato alla pena massima di 20 anni. La 72enne, che The Independent ha definito la donna più influente del 2025, ha coraggiosamente scelto di rinunciare all'anonimato durante il processo che si è svolto nel villaggio di Mazan, nel sud-est della Francia.
Tel Aviv, 13 mar. (Adnkronos) - "In merito all'accusa del sangue pubblicata dalla 'Commissione d'inchiesta': è uno dei peggiori casi di accusa del sangue che il mondo abbia mai visto (e il mondo ne ha visti molti). Accusa le vittime dei crimini commessi contro di loro. Hamas è l'organizzazione che ha commesso orrendi crimini sessuali contro gli israeliani. È davvero un documento malato che solo un'organizzazione antisemita come l'Onu potrebbe produrre". Lo ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Oren Marmorstein.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Si terrà la prossima settimana, probabilmente giovedì 20 marzo, una seduta straordinaria della Camera dei deputati di tre ore e mezza per discutere le mozioni delle opposizioni sull'emergenza carceri. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Ramallah, 13 mar. (Adnkronos) - Secondo la Società dei prigionieri palestinesi e la Commissione per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri, almeno 25 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane durante le ultime incursioni nella Cisgiordania occupata. Tra gli arrestati ci sono una donna e diversi ex prigionieri, si legge nella dichiarazione congiunta su Telegram. Aumentano gli arresti a Hebron, dove secondo l'agenzia di stampa Wafa oggi sono state arrestate 12 persone, tra cui 11 ex prigionieri.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Non c'è stato l'affidamento da parte del governo di infrastrutture critiche del Paese a Starlink" e "come già rassicurato dal presidente Meloni ogni eventuale ulteriore sviluppo su questa questione sarà gestito secondo le consuete procedure". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani in Senato rispondendo a una interrogazione del Pd.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - Per quel che riguarda il piano 'Italia a 1 giga', "con riferimento alle aree più remote, il governo sta valutando con Starlink e altri operatori l'ipotesi di integrazione della tecnologia satellitare come complemento alle infrastrutture esistenti". Lo ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo in Senato a una interrogazione del Pd.
"Nel caso specifico di Starlink, sono in corso delle interlocuzioni con alcune regioni italiane - del nord, del centro e del sud - per sperimentare la fornitura di un 'servizio space-based' rivolto ad aree remote o prive di infrastrutture terrestri. In ogni caso, si ribadisce che non sono stati firmati contratti nè sono stati conclusi accordi tra il governo italiano e la società Space X per l'uso del sistema di comunicazioni satellitari Starlink per coprire le aree più remote del territorio", ha chiarito Ciriani.
Roma, 13 mar (Adnkronos) - "Presso la presidenza del Consiglio non è stato istituito alcun tavolo tecnico operativo per lo studio della concessione a Starlink della gestione delle infrastrutture di connessione e telecomunicazione delle sedi diplomatiche italiane o delle stazioni mobili delle navi militari italiane". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani rispondendo al Senato a una interpellanza del Pd.