Nel 1934 esce la prima edizione del Mein Weltbild, la raccolta di saggi brevi di Albert Einstein, tradotta in lingua italiana con il titolo Il mondo come io lo vedo. “Nel giro di due settimane – scrive il grande fisico tedesco – masse, come greggi, possono essere portate dai giornali a uno stato di furia eccitata tale che gli uomini sono pronti a indossare l’uniforme a uccidere e farsi uccidere in nome delle mire inutili di pochi gruppi interessati”.

Oggi, come in passato, la logica della propaganda bellica è la stessa. Un dittatore – Vladimir Putin – invade uno Stato sovrano con le armi. Un’altra nazione – gli Stati Uniti – in competizione con quella del dittatore per l’accaparramento di risorse naturali e strategiche mobilita gli Stati satellite europei per appoggiare il governo ucraino che ha subito l’invasione, non solo attraverso legittime sanzioni all’aggressore, ma anche tramite l’invio di enormi quantità di armi. L’idea che con le armi si possa evitare una guerra è come dire di spegnere un incendio buttando benzina sul fuoco e servono palati forti per digerirla. Ma i tempi sono quelli che sono e l’opinione pubblica dopo due anni di pandemia è stanca e poco esigente.

La reazione militare è giustificata naturalmente in nome della libertà e dei valori dell’Occidente, gli stessi sistematicamente dimenticati in casi di invasioni illegittime precedenti: guerre minori in Africa, Medio Oriente, Asia. I diritti nel modello occidentale variano sempre a seconda di chi ne trae vantaggio.

Nonostante sia chiaro a tutti che i motivi principali della invasione sono legati alla soddisfazione degli interessi di élites e gruppi di potere che mirano al controllo di risorse materiali e strategiche, la propaganda dei media si fa asfissiante. Chi osa contestare la decisione di inviare armamenti è bollato come putiniano, nemico della libertà, disertore. Nel Daodejing, il libro sacro del Taoismo c’è scritto: “Chi gioisce nell’uccidere gli uomini non può attuare i suoi intenti nel mondo”. Disertare le guerre in ogni modo possibile è dunque virtù, e non atto di codardia o di eversione.

Ma la retorica montante non è ovviamente interessata a avviare un dibattito per capire le motivazioni degli accadimenti, interpretare la complessità dei fatti e analizzare le conseguenze delle diverse azioni. Il premier Mario Draghi, unico tra i primi ministri delle nazioni occidentali, dichiara il prolungamento dello stato di emergenza. Non si sa a chi risponde il Migliore con questo decisionismo da commedia all’italiana: se a sé stesso e alle sue convinzioni profonde, o a chi altro. Certo non alla democrazia e ai principi della Costituzione che vorrebbero sia il Parlamento il luogo del dibattito pubblico e sancisce a chiare lettere all’articolo 11 che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

Sulla posizione belligerante dei principali partiti politici non vale la pena spendere troppe parole. Renzi, Calenda, Letta, Meloni, Salvini sono solo il sintomo di una malattia mortale della democrazia italiana, non la causa.

I grandi giornali rassicurano intanto sul fatto che in caso di emergenza nucleare esistono scorte di antidoti e farmaci a base di ioduro di potassio già a disposizione del Ministero della Salute. Altre scorte potranno essere acquistate in ogni caso con l’aiuto dei soliti faccendieri e intermediatori ex premier e presidenti delle camere compresi. Forse sarebbe il caso di dire che, con il numero di basi militari e centro di coordinamento Nato e americani presenti in Italia, in caso di guerra nucleare la penisola sarebbe rasa al suolo nell’arco di un paio di ore.

Ma dire qualcosa del genere apparentemente non si può. I meccanismi della colpevolizzazione sono talmente potenti che esporsi e prendere posizione contro Putin e contro l’invio di armi contemporaneamente è considerato atto di insubordinazione contro i valori portanti dell’Occidente. Questa logica da pensiero binario – noi siamo il bene loro il male – è semplicemente ridicola e contraria a ogni forma di ragionamento razionale. Perché non si può dire che Putin è un dittatore e le sue azioni vanno sanzionate duramente e, allo stesso tempo, affermare che l’invio di armi significa entrare in guerra, contribuire a mandare al massacro decine di migliaia di persone inermi, fagocitare la follia bellica e rischiare il disastro nucleare?

Ecco quando si arriva a questo punto, a un punto in cui anche nelle grandi democrazie liberali occidentali chi ragiona in modo autonomo fuori dal mainstream propagandistico è colpevolizzato e marginalizzato, non rimane che prendere posizione e ribadire a gran voce come fece a suo tempo Albert Einstein che “sono da disprezzare tutti coloro che sono profondamente felici di marciare in ranghi e nelle formazioni al seguito di una musica” perché costoro hanno ricevuto solo per errore il cervello e un midollo spinale gli sarebbe più che sufficiente.

Se oggi è urgente qualcosa non è mandare armi per fomentare una guerra, né dare voci ai cantori del conflitto. Ciò che conta è l’organizzazione di un dibattito pubblico su cosa sta accadendo. Altrimenti che senso ha ancora parlare di democrazia e del valore della libertà?

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