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Rita Rusic a FQMagazine: “I commenti tipo ‘sei tutta rifatta’? Ma quando mai: ero bella, ho un buon dna e non è tutto. Il mio rimpianto, non aver inciso quel disco”

E' tra i concorrenti di Pechino Express - una produzione Sky Original realizzata da Banijay, in onda il giovedì sera su Sky Uno è in streaming su NOW - in coppia con il fidanzato Cristiano Di Luzio: "A prima vista pensano che la nostra sia una relazione basata sull’attrazione fisica, invece c’è un rapporto di affetto profondo, c’è persino qualcosa di materno..."

Se le chiedi quante vite ha vissuto, Rita Rusic ti risponde che ha perso il conto. L’unica che non è riuscita a vivere è quella da cantante: aveva un contratto firmato con la Motwon Records – quella di Stevie Wonder e Diana Ross, per intenderci -, ma l’ex marito, Vittorio Cecchi Gori, le impose un aut aut stile “o il matrimonio o la carriera”. Lei ha tirato dritto, con resta un rimpianto velato. Modella, attrice, produttrice di successo, regina del gossip, star dei reality, provocatrice per vocazione, eterna teenager: montagne russe della vita vissute, dai campi profughi agli agi milionari. Tutto e quasi niente. Poi chissà. Oggi è tra le protagoniste di Pechino Express – una produzione Sky Original realizzata da Banijay, in onda il giovedì sera su Sky Uno è in streaming su NOW – in coppia con il fidanzato Cristiano Di Luzio, ma già punta alla prossima sfida: il suo primo film da regista.

Sincera: al netto della proposta economica, come l’hanno convinta a partecipare a Pechino Express?
(ride) Il combinato disposto questa volta era favorevole. Dopo due anni di Covid, limiti e chiusure, volevo prendere, partire, viaggiare. Anche se i continui test e le mascherine hanno complicato i giochi. Ci aggiunga che mi stuzzicava lavorare con Costantino della Gherardesca – lo ammiro, mi piace la sua ironia -, e che volevo fare un’esperienza inedita con il mio compagno. E poi c’è la componente personale.
Che sarebbe?
Il bisogno di cambiamento, di pormi sempre nuovi obiettivi e nuove sfide. Le challenge non mi spaventano, voltare pagina nemmeno. Sono come i gatti: ho tante vite.
Quante ne ha vissute finora?
Ho perso il conto. C’è quella legata agli anni del cinema, la vita a Los Angeles, quella a Miami, quella in tv. Tutto questo mi piace. Per quanto sia riflessiva, ho l’esuberanza dell’eterna teenager: la vena folle, la voglia di giocare, provare e sbagliare fanno parte di me. Forse serve ad esorcizzare la parte oscura, a non lasciarmi soffocare delle responsabilità.
La domanda che le fanno più spesso riguardo a Pechino Express?
Sono tutti concentrati a chiederti quando sia faticoso. Pochi colgono l’essenza del programma: il viaggio come apertura della mente, come scoperta dei propri limiti. A tutti rispondo che è molto più faticoso di come appare.
La fatica più grossa?
Sei in gara: ogni cosa devi farla ancora prima di pensarla. Lo stress continuo inizia al minuto zero e finisce quando ti eliminano. Anzi, lo strascico della tensione te lo porti anche un po’ a casa. I primi giorni, a Roma, mi svegliavo convinta di dover cercare un passaggio.
Quanto è competitiva?
Da zero a dieci, dieci. Ma al tempo stesso sono realista, conosco i miei limiti: pur essendo una che si allena molto, senza il mio compagno tante cose non le avrei fatte. Per fortuna spesso lo zaino me lo portava lui. Io avrei bisogno di un portaborsette, si figuri con uno zaino così ingombrate.
A proposito del suo fidanzato, l’imprenditore modello Cristiano Di Luzio. L’etichetta toy boy quanto la infastidisce?
Non mi è mai importata l’età nemmeno quando stavo con persone molto più grandi di me. La vita è fatta di incontri, sbagli, alchimie, non di anagrafe e numeri. Sono una control freak ma ho capito che ogni tanto è bello lasciarsi andare, emozionarsi e vivere senza il freno a mano tirato.
È innamorata?
Sono felice. A prima vista pensano che la nostra sia una relazione basata sull’attrazione fisica, invece c’è un rapporto di affetto profondo, c’è persino qualcosa di materno. Con Cristiano mi sono riappropriata di cose che non vivevo da tempo, guardo la vita con occhi diversi.
Il momento più bello dell’esperienza a Pechino Express?
I rapporti umani, soprattutto quelli gli abitanti dei luoghi. A volte sono distratti, altre volte sgarbati, altre ancora lusingati dalle telecamere. Ma quando ti scelgono è bellissimo: in quelle poche ore di convivenza si crea un’intimità forte, difficile da spiegare. Sta lì il senso profondo di Pechino.
I momenti più divertenti?
Non posso dirlo sennò rischio lo spoiler. Ma è divertente quando un passaggio o la ricerca di ospitalità ti riesce facile. Così come gli spostamenti del cast da un posto all’altro: il clima da gita scolastica è molto divertente. O ancora quando ho visto cadere Victoria Cabello dalla bici: le cadute degli altri sono sempre divertenti, è l’effetto candid camera.
I più complicati?
Non ce n’è uno singolo. Direi ogni volta che ti scontri con i tuoi limiti mentali e fisici.
I suoi figli cos’hanno detto quando l’hanno vista dormire in una tenda in una casa diroccata nel centro della Turchia?
A parte che conoscono bene Pechino, sono abituati e pronti a tutto quando ci sono io di mezzo, montagne russe della vita incluse. Forse soffrono un po’ ma li ho abituati a essere liberi proprio come sono libera io.
È sempre stato così aperto il vostro rapporto?
No, ci sono voluti tempo e sacrifici. Una volta mia figlia mi ha detto: “Mamma, se continui a cercare te stessa in me, non sarai mai felice. Mi devi accettare per come sono”. Lì c’è stato lo switch: ho capito che aveva ragione, la volevo identica a me e non capivo che invece siamo diverse. Dovevo accettarlo come dato di fatto, accettare i miei figli per come sono davvero.
Lo stesso vale per suo figlio Mario?
Sì. Ho imparato a lasciarli andare, ad osservarli come esseri in continua evoluzione. Oggi siamo una piccola famiglia molto unita, sappiamo ciò che ci rende felici, ci rispettiamo. Difficilmente criticano le mie scelte, difficilmente critico le loro. Anche perché io sono la prima critica di me stessa.
Cosa si critica?
Pretendo molto, sono intransigente. Però mi voglio bene, mi perdono quasi tutto. Pure la superficialità di certe foto che posto sul social.
In cui non lesina scatti anche molto provocanti. Le piace provocare.
Una mia amica qualche giorno fa mi ha detto: “Mi guardo il tuo Instagram perché mi mette di buon umore: sembri spensierata come una ventenne”. Invece ne ho sessanta. E l’ipocrisia di certi commenti sul corpo non mi toccano: vengo da una cultura dell’est, in cui il nudo non è visto come qualcosa di scandaloso. E poi, come diceva mio padre quando a 16 anni iniziai a fare la modella, “vergognati di quello che fai, non di come sei”.
E quando l’accusano di essersi rifatta?
Certe critiche sceme al massimo mi toccano per le la stupidità. “Sei tutta plastica”. Ma quando mai: ero bella, ho un buon dna, faccio una fatica bestiale in palestra, non fumo, non bevo e non mi drogo. E poi non ho il culto della perfezione, non mi interessa: accetto i cambiamenti come vengono… certo, cerco di indirizzarli dove mi piace di più.
Le manca fare la produttrice cinematografica?
Mi manca moltissimo. Ho avuto due o tre proposte interessanti ma voglio tornare in pista producendo un film o una serie tv che non siano semplicemente prodotti buoni ma eccezionali.
Dopo Il Gf Vip e Pechino Express nel suo futuro c’è L’isola dei famosi?
Mi hanno chiesto mille volte di farla ma è un’esperienza che non mi interessa. Con i reality ho finito. Adesso il mio ruolo è altrove. Se proprio dovessi continuare a fare tv, vorrei fare un programma folle e sopra le righe, magari con Victoria Cabello e Aurora dei The Jackal. Siamo profondamente diverse ma abbiamo la stessa voglia di vivere, giocare e ironizzare.
È vero che ha rinunciato a una carriera da cantante nonostante il contratto già firmato con la Motown?
Avevo inciso le canzoni con un produttore bravissimo che aveva lavorato con Mina, il calendario per la promozione in 54 città americane era pronto. Ma Vittorio Cecchi Gori, all’epoca mio marito, mi disse: “Ma dove vai con tre anni di contratto e una figlia piccola?”. È un rimpianto grande, chissà che piega avrebbe preso la mia vita.
Il suo grande sogno?
Come tutte le donne profondamente infantili, ho tanti sogni da realizzare. Forse quello più vicino è la regia: alla New York Film Academy di Miami sono tornata a studiare e ho preso un diploma. Ho in mente una sceneggiatura ispirata a una storia vera accaduta alla mia famiglia.
Lei e la sua famiglia, originaria dell’Istria, appena arrivati in Italia avete vissuto in un campo profughi. Che ricordi ha di quei tre anni e mezzo?
Ero piccola ma ricordo bene il filo spinato, la violenza che si scatena in certi contesti dove non si vive ma si sopravvive. Ricordo la sensazione di dover lasciare la nostra terra e le poche cose che avevamo, per inseguire il sogno di una vita migliore. E ricordo la quella sensazione costante di vivere in un paese che non è il tuo e di conseguenza il bisogno continuo di cercare approvazione.
Il segno di tutto ciò che ha vissuto è ancora profondo?
In parte sì. E infatti è rimasto latente il bisogno di farsi accettare. Ma al tempo stesso la sofferenza mi ha dato la forza per mordere la vita, la sfida intesa come dimostrazione a me stessa e agli altri che potevo ottenere i traguardi che mi prefiggevo.
Che impressione le fanno le immagini di questi giorni dei milioni di Ucraini che stanno lasciando la loro terra dopo l’invasione russa?
Noi non siamo andati via a causa di una guerra, non ho mai visto le bombe e la distruzione intorno, ma riconosco negli occhi di quei bambini e di quelle mamme il terrore e il dolore per aver dovuto lasciare le loro vite che fino a poche settimane fa erano come le nostre. È folle che nel 2022 siamo tornati indietro a tutto questo e spero che il dialogo prevalga presto sulla violenza. È tutto terribile ma stare sul divano e piangere guardando la tv non serve a molto, l’ho detto anche a mia figlia Vittoria: con le nostre lacrime non possiamo fare nulla, cerchiamo piuttosto di capire cosa fare nel nostro piccolo per aiutare queste persone.
Ha mai pensato di scrivere un libro sulla storia della sua famiglia?
Ci lavoro da tempo. È la mia storia che s’intreccia con quella di mia mamma, due donne che fanno un percorso inverso: lei che lascia tutto per un futuro migliore, io che lascio il massimo per ritrovare me stessa e una vita più vera per me e i miei figli. Ma ci sto mettendo più tempo del previsto: scrivere la nostra storia significa rivivere il dolore e sofferenza. E non è semplice.