di Elena Dragagna, avvocata, Sara Gandini, epidemiologa
Con tre provvedimenti monocratici del 4 marzo scorso, la dott.ssa Maddalena Filippi, Presidente del Tar del Veneto, ha ripristinato, in via cautelare, la retribuzione a tre poliziotti della Questura di Padova che erano stati sospesi dal servizio per non avere assolto all’obbligo vaccinale. L’udienza collegiale per la trattazione della domanda cautelare è prevista per il 23 marzo. Come si legge nei provvedimenti, il Giudice ha ritenuto di accogliere la misura cautelare richiesta considerando che “la gravità del pregiudizio derivante dalla preclusione assoluta alla percezione dello stipendio… integri una situazione di estrema gravità e urgenza, requisito necessario… per la concessione di una misura cautelare monocratica”.
Non è il primo provvedimento che, nel ripristinare il diritto alla retribuzione (o della stessa prestazione lavorativa) dei lavoratori sospesi in quanto non vaccinati (seppure in questo caso in via cautelare e in attesa di conferma da parte dell’organo collegiale), evidenzi la gravità della misura applicata e l’urgenza di disapplicarla. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Velletri, nel dicembre scorso, aveva riammesso al lavoro, prima con provvedimento cautelare e poi con sentenza, un’operatrice sanitaria sospesa in quanto non vaccinata, evidenziando “la rilevanza costituzionale dei diritti compromessi (dignità personale, dignità professionale, ruolo alimentare dello stipendio)”.
E ancora il Tar del Lazio in composizione monocratica, con tre decreti del 2 febbraio scorso (i decreti cautelari 721, 724 e 726), ha ripristinato in via cautelare la retribuzione in favore dei ricorrenti, tre dipendenti del Ministero della Giustizia, ritenendo la necessità di valutare la costituzionalità della norma che impone l’obbligo vaccinale. Nel provvedimento il Giudice ha evidenziato che “in relazione alla privazione della retribuzione e quindi alla fonte di sostegno delle esigenze fondamentali di vita, sussistono profili di pregiudizio grave e irreparabile, tali da non tollerare il differimento della misura cautelare sino all’esame collegiale”.
Sempre il Tar del Lazio, con il decreto cautelare n. 919 del 14 febbraio 2022, ha sospeso, in attesa della trattazione collegiale (fissata per il 16 marzo), i provvedimenti di sospensione dell’attività lavorativa di diversi dipendenti del Ministero della Difesa. I ricorrenti proponevano la questione di costituzionalità relativa all’art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021 (poi convertito in legge) che prevede l’obbligo vaccinale per il personale del comparto di difesa e di sicurezza. Con l’ordinanza n.1234/2022 il Tar del Lazio in composizione collegiale, su ricorso di dipendente del Ministero della Giustizia, ha imposto al Ministero stesso di versare metà della retribuzione al dipendente sospeso in attesa dell’udienza pubblica di merito prevista per il 6 maggio. Come si legge nell’ordinanza, il Tar ha ritenuto necessario un “approfondimento di merito, in relazione ai profili di doveroso bilanciamento di valori costituzionali, tra la tutela della salute come interesse collettivo – cui è funzionalizzato l’obbligo vaccinale – e l’assicurazione di un sostegno economico vitale – idoneo a sopperire alle esigenze essenziali di vita”. Per questo, e considerato che “nel caso di sospensione dell’attività di servizio per mancata sottoposizione alla somministrazione delle dosi e successivi richiami” è prevista “la privazione integrale del trattamento retributivo”, il Tar ha ritenuto “di accogliere l’istanza cautelare, nel senso che al ricorrente sia corrisposto un assegno alimentare pari alla metà del trattamento retributivo di attività”.
Infine, il Tar della Lombardia, con l’ordinanza n. 192 del 14 febbraio, nel procedimento promosso da una psicologa contro il relativo Ordine professionale, ha dato atto di avere sollevato – con separata ordinanza – la questione di illegittimità costituzionale della normativa sull’obbligo vaccinale nella parte in cui, in caso di inadempimento dell’obbligo stesso, è prevista “l’immediata sospensione dall’esercizio della professione sanitaria”. In via cautelare il Tar stesso ha sospeso parzialmente il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa, limitandolo alle prestazioni “che implicano contatti interpersonali o comportano… il rischio di diffusione del contagio”. Saranno dunque permesse, alla psicologa ricorrente e in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale, tutte le attività lavorative non implicanti contatti interpersonali: in pratica il telelavoro.
I provvedimenti citati si pongono, dunque, in un’ottica di bilanciamento dei diritti in gioco, cui non si sottrae il diritto alla salute, non essendo esso stesso diritto “tiranno” – come ebbe a dire già la Corte Costituzionale nella famosa pronuncia n.85 del 2013 relativa al caso Ilva. In particolare, quando si parla di lavoro e specificamente di retribuzione, non va dimenticato che la finalità della stessa – come ci dice l’articolo 36 della Costituzione – è quella di “garantire un’esistenza libera e dignitosa” ai lavoratori stessi e alle loro famiglie. La sospensione, per chi non ottemperi all’obbligo vaccinale, dell’attività lavorativa e della relativa retribuzione, contrasta dunque con la citata disposizione, così come con l’articolo 32 della Costituzione che prevede come limite espresso ai trattamenti sanitari, quando resi obbligatori per legge, il rispetto della persona umana.
Togliendo la possibilità di esercitare l’attività lavorativa e di percepire la relativa retribuzione ai lavoratori sospesi si toglie loro la possibilità di vivere liberamente e dignitosamente; viene in sostanza meno il rispetto della loro persona, della loro dignità, oltre che della dignità della loro famiglia, che anche (o a volte solo) grazie a quell’entrata economica trova sostentamento. Né si può fare a meno di osservare che togliere i mezzi di sussistenza attenta anche allo stesso diritto alla salute: intesa come salute fisica, psichica e sociale. I provvedimenti giudiziari citati si propongono, fortunatamente, di ripristinare la tutela della dignità dei lavoratori ricorrenti. Aggiungiamo che mancando personale non si capisce il razionale di sospendere gli infermieri vaccinati con ciclo completo e poi infettati che pretendono di aspettare a fare la terza dose, come d’altra parte è previsto per il resto dei cittadini. Per fortuna almeno gli infermieri cominciano a ribellarsi perché da eroi durante la pandemia sono diventati velocemente dei traditori e rischiano la sospensione pur essendosi vaccinati e, inoltre, aver contratto la Covid-19. Come scrivevamo in un precedente post sul blog del Fatto, queste decisioni ci pare che abbiano ben poco a che vedere con scelte sanitarie. A noi paiono vere e proprie punizioni per riportare all’ordine.