Società

La guerra mi ricorda le violenze sulle donne: le minacce dell’uomo-dittatore, lo stupore altrui

di Franco Failli

Quando le tragedie diventano troppo grandi per la mente e la coscienza del singolo viene naturale cercare di ridurle almeno a tragedie più piccole, ammesso che quando c’è di mezzo la sofferenza e la perdita di vite umane abbia senso ridursi a questioni quantitative, come si fa con gli oggetti.

Una cosa che balza agli occhi in questa violenza a cui stiamo assistendo è la sua grande somiglianza con la miriade di violenze che ci siamo sentiti raccontare negli ultimi anni. Cioè le violenze esercitate da uomini brutali (e stupidi) contro le proprie compagne. Abbiamo visto proprio la stessa dinamica: una lenta ma costante presa di coscienza della propria volontà e delle proprie possibilità, i segnali di insofferenza per il modo di vivere adottato in passato, le minacce dell’uomo-dittatore, la decisione del distacco, la reazione omicida come riflesso condizionato di chi non sa fare o concepire altro.

Identiche sono anche le reazioni degli altri, di chi c’era ma dormiva (o faceva colpevolmente finta di dormire): “Era una coppia così tranquilla”. “Non era possibile prevedere una cosa così”. “Lui era sempre tanto educato, una persona perbene”. Già… la stessa persona perbene con cui scherzare amabilmente e scambiare doni, o magari con la quale intrecciare utili rapporti commerciali, o alla quale inneggiare come modello di rettitudine e decisione. Pensando a Putin, chiediamoci quante volte abbiamo sentito dire o detto: “Se ci fosse lui…”. Che è un comodo e meno riconoscibile sostituto di “Quando c’era lui…”.

E allo stesso modo adesso che anche nella storia, e non solo nella cronaca, ci sono i cadaveri in bella mostra, tutti a fare marcia indietro: “Con lui era solo buongiorno e buonasera” quando fino al giorno prima si era fieri di affermare (ovviamente mentendo) di essere i migliori amici di un uomo così ammirevole. Insomma uno schifo, nel piccolo come nel grande.

E’ chiaro che ci sono purtroppo anche enormi differenze tra i due fenomeni. Un marito geloso o irragionevolmente possessivo non ha la capacità di nuocere all’intera comunità che ha invece il dittatore di tutte le Russie. Ma possiamo trovare altre analogie: cosa succederebbe se l’uomo in questione fosse un boss che ha intrapreso, anche lui, una guerra per il controllo del territorio? L’abbiamo già visto succedere, e anche lì i cadaveri di tanta gente comune non sono mancati.

In ogni caso adesso sappiamo cosa pensare di Vladimir Putin, anche se non era difficile farlo con un po’ di anticipo: cosa avremmo dovuto aspettarci da uno che si è formato ad una delle massime scuole di assassinio e prevaricazione del mondo (i servizi segreti del KGB), e che ha dato prova per decenni di essere in grado di applicare alla perfezione quegli insegnamenti, facendo scomparire indiscriminatamente e platealmente tutti quelli che anche solo accennavano ad ostacolarlo? Ci eravamo dimenticati di Anna Politkovskaja, di Alexander Litvinenko, dell’intera Cecenia? Certo. Perché ci faceva comodo.

Possiamo pensare di applicare contro Vladimir Putin le stesse tecniche adoperate contro Bernardo Provenzano o i boss di Casal di Principe? In tal caso l’intera Europa, se non il mondo, avrebbe qualcosa da imparare dalle forze dell’ordine e dalla magistratura italiana.

Anche se noi, come paese, sotto la guida di personaggi deprecabili, abbiamo fatto come certi palermitani, che di fronte agli omicidi eccellenti commentavano negli anni Sessanta: “Cose di fimmine…”. Le prodezze di Vladimiro erano per noi “cose di russi…”. Ma i finti omicidi d’onore sono diventati politica attraverso una seria di stragi di stato, e le cose di russi diventano storia attraverso una guerra forse mondiale. Una cosa, dall’alto (o dal basso) della nostra esperienza di italiani vessati dalla criminalità e dalla corruzione possiamo dire al mondo: non sarà una cosa breve.

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