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Ucraina, forse uno spiraglio nei negoziati. Ma pace significa saper prevenire i conflitti

di Giovanni Casciaro

Finalmente si intravede lo spiraglio di una possibile uscita dalla drammatica guerra in Ucraina. Il Financial Times ha dato notizia della bozza di un piano di pace in 15 punti, che prevede il ritiro delle truppe russe a fronte della neutralità e smilitarizzazione dell’Ucraina. Tuttavia, la ricerca di una soluzione politica del conflitto avviene in contemporanea a morte e distruzione di una guerra che si inasprisce. Ma prima di questi orrori vi è stata una ricerca seria di soluzioni?

Da tempo, prima dell’invasione russa, si era proceduto ad armare l’Ucraina, a fornire assistenza militare da parte di alcuni paesi Nato, tra cui gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Come non pensare che queste azioni per la Russia potevano rappresentare la palese dimostrazione di un’ulteriore espansione militare della Nato verso est? Malgrado le esplicite denunce e le minacce da parte russa, si è proceduto comunque in azioni irresponsabili che sicuramente non avrebbero portato a una soluzione pacifica delle controversie, ma alla guerra come sbocco infausto. Ed è stato facile per i servizi Usa prevedere la guerra di aggressione russa, che comunque non può che essere condannata con fermezza.

Ora prevarrà la volontà di guerra o il negoziato? I continui invii di armi, la richiesta di no fly zone, l’escalation pericolosa del livello dello scontro, le dichiarazioni offensive fra le parti sono tutti fatti che ostacolano il confronto negoziale e le soluzioni pacifiche, quindi alimentano il perdurare della guerra. Mentre ogni giorno si aggravano le drammatiche conseguenze sulla popolazione, sono attive le trattative che possono auspicabilmente portare a soluzioni ragionevoli e accettabili per entrambe le parti.

Purtroppo mancano, in questo come in altri conflitti spesso dimenticati, piani seri di soluzione dei problemi. E invece di essere gli organismi internazionali a realizzarli, sono le parti in causa che pretendono di imporli, ognuno secondo le proprie ragioni. Mancano progetti politici d’integrazione di economie e di interessi tra gli stati che portino a disinnescare i conflitti. Eppure tali progetti sono possibili: ne è un esempio l’Unione Europea che, con tutti i suoi limiti, ha garantito un lungo periodo di pace ai paesi membri, storicamente in conflitto.

Invece si ripropone, anche da parte della Nato, il solito schema: prima la guerra, con disastri umanitari e devastazioni ambientali, l’aggravamento delle contrapposizioni, poi la ricerca non di soluzioni condivise e durature, ma del posizionamento più vantaggioso. Una ricerca resa più difficile dalla non volontà a cogliere seriamente le sollecitazioni del “nemico”, ritenendo indiscutibili le proprie ragioni, negando i propri errori e, in alcuni casi, le nefandezze compiute, per le quali l’autoassoluzione è sempre garantita. E in questo triste scenario una moltitudine di tifosi è sempre pronta a schierarsi con una delle parti acriticamente, spesso prefigurando gli scenari peggiori. È lo schema che si prospetta in futuro anche per altre aree europee? E per Taiwan con la Cina e con quali conseguenze?

È evidente il fallimento delle guerre nella soluzione delle crisi internazionali, come dimostrato da quanto accaduto in Libia, Iraq, Afghanistan e in altri paesi. Eppure malgrado questa evidenza le spese militari in Europa e in tutto il mondo aumentano vertiginosamente e gli arsenali militari, anche quelli atomici, di conseguenza. Una situazione favolosa per l’industria bellica, tanti affari e profitti. E proprio agli arsenali e alla guerra è affidata la sicurezza mondiale da un ceto politico, subalterno a logiche aggressive e incapace di visione politica. Costruire la pace non è semplice ma è possibile, e le drammatiche vicende in Ucraina ne richiamano la improrogabile necessità. Significa saper prevenire i conflitti, risolvere pacificamente le controversie internazionali, costruire condizioni per una coesistenza pacifica inclusiva e rafforzare gli organismi Onu.

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