Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando generale, interregionale e regionale della Guardia di finanza hanno ritenuti “lesivi del prestigio di ufficiali di grado superiore, evocativi di una generale condizione di inaffidabilità del contesto di servizio cui l'interessato è stato destinato”
Guai a parlar male di un superiore, men che meno lasciarsi andare con un collega a commenti poco lusinghieri in una chat su Whatsapp. Perché può capitare che i messaggi varchino i confini ristretti della comunicazione ritenuta, fino a quel momento, fidata e riservata. Il provvedimento disciplinare, in quel caso, è in agguato e non si può neppure invocare la garanzia costituzionale della segretezza della comunicazione privata. Soprattutto quando si appartiene a un corpo militare. Lo sa bene un tenente colonnello della Guardia di finanza il quale si è visto rigettare, dai giudici del Tar Sardegna, il ricorso (numero registro generale 26 del 2021) presentato contro la sanzione disciplinare che potrebbe costargli penalità nel punteggio per l’avanzamento di carriera.
Dell’ufficiale in questione si sa che era comandante di una sede vacante non meglio specificata (generalità e sede di lavoro sono oscurati nella sentenza pronunciata lo scorso 16 febbraio e pubblicata da qualche giorno) e che è stato destinatario del “rimprovero” per un fatto accaduto nel 2020. Nello specifico: aver avviato una conversazione su Whatsapp con una collega di grado inferiore, inoltrando una serie di messaggi contenenti commenti, valutazioni, suggerimenti che ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando generale, interregionale e regionale della Guardia di finanza hanno ritenuti “lesivi del prestigio di ufficiali di grado superiore, evocativi di una generale condizione di inaffidabilità del contesto di servizio cui l’interessato è stato destinato”. Non solo: “tesi a minare il clima organizzativo e la serenità del personale preposto ai reparti del Comando regionale della Sardegna”.
Confidenze pericolose, ancorché prive di contenuto propriamente diffamatorio, che l’ufficiale ha probabilmente fatto nutrendo assoluta fiducia nei confronti della destinataria. E, forse, dimenticandosi degli obblighi in capo ai militari giacché (come viene ricordato nella sentenza del Collegio presieduto dal giudice Dante D’Alessio e composto anche dai magistrati Gabriele Serra e Oscar Marongiu) il “Testo unico delle disposizioni regolamentari”, relativo alle “Comunicazioni dei militari” prevede che “ogni militare debba dare sollecita comunicazione al proprio comando o ente degli eventi in cui è rimasto coinvolto e che possono avere riflessi sul servizio”.
Disposizione che, invece, la destinataria dei messaggi ha ricordato con solerzia. Tanto che – come si legge ancora nella sentenza – l’acquisizione della conversazione è avvenuta in forma del tutto regolare. Ovvero: “attraverso apposite relazioni di servizio prodotte dall’altro interlocutore che ha partecipato alla chat”. Il che ha fatto cadere le contestazioni contenute nel ricorso del tenente colonnello, tra cui il fatto che si trattasse di “una conversazione di natura privata svoltasi al di fuori di chat di lavoro o ufficiali, senza che peraltro sia dato sapere come sia venuta a conoscenza del Comando”. Non ha neppure convinto la tesi che le opinioni espresse non risultassero “in alcuna misura idonee a cagionare quei fatti indicati nel provvedimento, quali lesione del prestigio di ufficiali e in generale minare il clima organizzativo del Reparto, mancando peraltro riferimenti a soggetti specifici o alcuna contestazione nei confronti dell’ambiente di lavoro”.
I giudici fanno un distinguo importante in merito al fatto che i messaggi con le nuove forme di comunicazione (ove non inoltrati a una moltitudine di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo come nelle chat private o chiuse) debbano essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile: “Non appare applicabile al caso di specie inerente la sanzione disciplinare adottata nell’ambito dell’ordinamento militare”. Neppure ha rilevanza l’assenza di contenuto diffamatorio perché, come scrivono i giudici del Tar Sardegna: “è anzi sufficiente a cagionare, in astratto, gli eventi citati, la conoscenza anche solo dell’interlocutrice del ricorrente, siccome appartenente al corpo militare e dell’ufficiale di grado superiore”.