La scelta di installare un pannello fotovoltaico a uso domestico non è solo una questione di tempi delle procedure da seguire, almeno per quelli a uso familiari, che non richiedono autorizzazioni particolari, a parte alcune eccezioni. Si tratta, soprattutto, di valutarne la convenienza. Che dipende da alcuni fattori: consumo elettrico medio dell’abitazione, acquisto della ‘giusta taglia’ e condizioni dello ‘Scambio sul posto’, il sistema regolato su base economica dal Gestore dei Servizi Energetici (società del Tesoro) per compensare l’energia elettrica prodotta da un impianto privato e immessa in rete perché non autoconsumata, con quella acquistata dalla rete nelle ore in cui non c’è sole. Ed è uno dei nodi principali: molti utenti, infatti, una volta installati i pannelli anche senza aver ricevuto contributi o agevolazioni dallo Stato, non restano soddisfatti. Perché l’energia consumata attraverso il proprio impianto durante le ore in cui c’è sole è gratis, ma non vengono ‘compensati’ come si aspettavano per l’energia che immettono in rete, dovendo poi pagare a prezzo più alto quella che sono costretti ad acquistare nelle ore serali e notturne.

Questi fattori determinano il tempo che un utente può impiegare a rientrare nella spesa. Ma come si fa a calcolare se conviene? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a Stefano Casiraghi, esperto Energia di Altroconsumo. “Se si fanno scelte in modo oculato, in condizioni normali l’investimento si ripaga mediamente in 10 anni. In questo periodo di forte richiesta dovuta alla crisi energetica (installo i pannelli perché la corrente costa tanto) serve valutare il costo effettivo dell’impianto proposto”, spiega Casiraghi, secondo cui “basta calcolare una spesa tra il 10 e il 20% più alta e spostare il ritorno economico da 10 anni a 15/20 anni”. Solo che questo ritardo può avere effetti importanti sull’effettiva convenienza economica.

Per gli impianti a uso familiare la procedura è già semplificata (con eccezioni) – Un ritardo che, in questo caso, non è dovuto a iter autorizzativi interminabili, come spesso accade per gli impianti più grandi. Il recente decreto Bollette dovrebbe velocizzare l’iter rispetto al passato per impianti di potenza da 50 a 200 kiloWatt, dunque più che altro commerciali. In Italia, invece, la potenza media installata per quelli domestici a uso familiare va dai 4 ai 20 kilowatt e già oggi non è richiesta alcuna procedura autorizzativa particolare, perché viene considerato un intervento in edilizia libera. È sufficiente, quindi, una comunicazione al Comune, a meno che l’abitazione in questione non si trovi in aree sottoposte a vincoli paesaggistici, ambientali o storici. Gli esiti, però, possono essere diversi: dalla semplice dichiarazione di un tecnico a limitazioni imposte dalla sovrintendenza ai Beni culturali. Il vero ago della bilancia, dunque, soprattutto se si tratta di un impianto a uso familiare (e vale anche per i condomini) è proprio la convenienza.

Quando conviene installare i pannelli – “Devo abitare in quella casa stabilmente e avere un consumo elettrico almeno in media con il consumo nazionale (2700 kilowattora all’anno) o, meglio ancora, un consumo superiore alla media, dovuto a un uso intenso di apparecchi elettrici”, spiega Casiraghi. Fondamentale, poi, scegliere la taglia corretta dell’impianto. “È necessario avere un tetto di proprietà ben esposto al sole (meglio a sud) e senza ombreggiamenti (alberi, altri tetti, piante)” aggiunge l’esperto. Tutto questo anche perché quello che si produce istantaneamente e in modo autonomo, e non si è costretti ad acquistare dalla rete, rappresenta un primo risparmio. E si parla di un costo “di circa 25 centesimi a kilowattora – spiega Casiraghi – in questi giorni anche 35/40 centesimi”.

Lo ‘Scambio sul posto’, chi ci guadagna – C’è, poi, l’energia prodotta e non consumata dal proprietario dell’impianto. Quella viene immessa in rete. E sono diversi gli utenti che segnalano di essere pagati pochissimo per quella non consumata di giorno e che immettono in rete e, al contrario, di dover pagare molto di più per l’energia acquistata dalla rete per le ore in cui i propri pannelli non la producono, quelle serali e notturne. “Il Gse paga l’energia prodotta e non consumata a un prezzo molto inferiore rispetto a quello della rete – chiarisce Casiraghi – fra i 7 e i 10 centesimi. Dipende da una formula molto complessa che calcola il valore orario dell’energia immessa, ma si tratta di un valore inferiore, perché non mi vengono riconosciute alcune voci, come gli oneri di sistema, i costi di distribuzione e altre ancora”. Chi ci guadagna, allora? “Il meccanismo è chiaro e riconosce al proprietario dell’impianto il valore dell’energia immessa in rete nella propria zona secondo l’orario”. È il Gse (incaricato dallo Stato) che gestisce il conto e il bonifico. “Come gli altri fornitori Enel non c’entra nulla – aggiunge l’esperto – e, come distributore, ha solo il compito di ‘allacciare’ l’impianto alla rete dopo aver fornito il contatore bidirezionale idoneo (quello che non solo calcola ciò che viene preso dalla rete come fa il normale contatore, ma che è anche in grado di calcolare ciò che viene immesso nella rete)”. Insomma, le regole sono queste.

A ognuno il suo calcolo – E allora come si capisce se ci si guadagna ad acquistare un impianto a un determinato costo? Altroconsumo suggerisce un calcolo abbastanza semplice. Si parte da un esempio: la proposta di un impianto da 6mila euro che, con lo sconto in fattura, l’utente privato paga 3mila euro, senza avere diritto alla detrazione. L’obiettivo è rientrare nei dieci anni, oltre i quali la convenienza diminuisce. “Dunque – spiega Casiraghi – divido quella cifra per dieci. Il risultato è 300 euro, la somma che dovrò risparmiare ogni anno per un decennio”. Parte del risparmio annuale è dato da quello che non si è speso in bolletta, quindi basta moltiplicare l’energia autoconsumata (il 30% della produzione dell’impianto fotovoltaico) per il costo di quella acquistata dalla rete (25 centesimi a kilowattora, anche se oggi si arriva a 40). La quota di energia non autoconsumata e pagata dal Gse (gli altri due terzi della produzione dell’impianto) “va moltiplicata per la somma a cui viene pagata all’utente (dai 7 ai 10 centesimi). Sommo le due cifre ottenute – aggiunge l’esperto – e il risultato deve essere quanto più possibile vicino ai 300 euro”. Se la cifra è nettamente inferiore non conviene: “Vuol dire che ci impiegherò molto più tempo a rientrare nella spesa, con il rischio di un aumento delle spese di manutenzione (dopo dieci anni, per esempio, va cambiato l’inverter) e l’incognita dell’andamento dei prezzi dell’energia”.

Le trappole e i nodi dovuti al contesto economico – Superati gli scogli autorizzativi, se richiesti, e il momento della scelta, per l’allaccio ci vogliono in media 30 giorni dalla richiesta. Ma l’esperto avverte: “Con lo sconto in fattura del 50% è facile cadere nella trappola dei venditori porta a porta delle utility per pagare eccessivamente l’impianto, mentre un’altra cosa su cui fare attenzione è la certezza dei tempi di installazione”. Con alcuni operatori ci sono tempi di attesa di 6 mesi o oltre. In questo momento poi “la mancanza di materiale che arriva a singhiozzo dal far East – racconta l’esperto Energia di Altroconsumo – dovuta prima alla grande richiesta mondiale e alla crisi dei chip e, da inizio 2022, delle materie prime e costi energetici”. In Italia, poi, con il boom del superbonus 110% e della cessione del credito (sconto in fattura) c’è stato un boom che è difficile da soddisfare. “Non solo per i materiali ma anche sul fronte della manodopera, il personale specializzato che installa gli impianti”.

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