Ho sempre pensato che ci siano persone che hanno la capacità di viaggiare nel futuro. Si pensi, limitandoci ai giorni nostri, a Musk, Steve Jobs o a Stephen Hawking: solo in questo modo sarebbe spiegabile la loro visione e la loro capacità di rappresentarsi cose che per tutti noi sembrano inimmaginabili o impossibili.

Ad esempio, ricordo ancora lo scetticismo con cui venne accolta la presentazione dell’Iphone 2G: nel gennaio 2007 alcuni leader del mercato erano convinti che Apple sarebbe andata incontro ad un clamoroso insuccesso, poiché a loro modo di vedere era impossibile realizzare un dispositivo touch screen di quelle dimensioni e con quelle prestazioni, se non tenendolo praticamente sempre attaccato alla presa di corrente, poiché erano convinti che la batteria sarebbe durata solo qualche minuto. Steve Jobs aveva visto il futuro ed era, così capace di prevenirlo; tutti gli altri erano rimasti nel loro presente ed erano inadeguati ad anticipare ciò che sarebbe accaduto.

Marco Biagi era uno di queste persone. Non ci sono altre spiegazioni per poter giustificare la sua capacità di anticipare di molti anni visioni e letture del diritto del lavoro che oggi, dopo vent’anni dalla sua tragica scomparsa, sono considerate punti fermi e indiscutibili.

Infatti, oggi è normale parlare di flexisicurity, cioè di un sistema che mixi in modo adeguato flessibilità per il datore di lavoro e sicurezza per i lavoratori per affrontare le inefficienze e le iniquità del mercato del lavoro italiano dei primi anni del nuovo millennio; così come è oggi scontato analizzare il mercato guardando non solo il tasso di disoccupazione (cioè il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le corrispondenti forze di lavoro), ma considerando soprattutto il tasso di occupazione, cioè il rapporto tra gli occupati e tutta la popolazione che potrebbe lavorare.

All’inizio del 2000 l’Italia registrava un tasso di disoccupazione che era sceso sotto la soglia psicologica del 10% e questo portava la stragrande maggioranza degli studiosi diversi da Biagi (cioè quelli che interpretavano il presente senza aver avuto il dono di vedere il futuro) a ritenere che non ci fosse bisogno, per realizzare un sistema più inclusivo, di una significativa riforma del mercato del lavoro. Biagi, invece, non si accontentava di un’analisi di questo tipo: era preoccupato del fatto che l’Italia registrasse un tasso di occupazione del 53%, cioè il più basso d’Europa e che si collocava di ben 10 punti percentuali al di sotto della media europea.

La sua inquietudine era data dal fatto che quasi la metà della popolazione italiana in età lavorativa non riuscita a trovare un lavoro o non lo stava cercando. La sua angoscia era legata al fatto che quasi la metà degli italiani (il 47%), pur potendo lavorare (perché in età da lavoro), non vedeva realizzato il diritto costituzionale ad un lavoro libero e dignitoso. La sua preoccupazione era data dal fatto che la maggior parte di questi cittadini fosse ormai sfiduciata dall’inefficienza del sistema e avesse abbandonato la ricerca di un qualunque lavoro. La sua inquietudine verso il presente era legata al fatto che è solo dall’occupazione complessiva che si misura la ricchezza di un paese e la sua capacità di poter aiutare e sostenere le politiche sociali. Insomma, solo la metà degli italiani lavorava e solo sulle loro spalle gravava il peso del finanziamento del sistema pensionistico, degli ammortizzatori sociali, degli altri supporti durante la disoccupazione e, in genere, gli strumenti di sostegno al reddito.

Biagi non nascondeva la sua insoddisfazione per il grande divario nella distribuzione delle opportunità di lavoro che si registrava tra Nord e Sud d’Italia e per l’esclusione dal mercato del lavoro di donne e giovani; non riusciva a non reagire di fronte ad un mercato del lavoro che era spaccato a metà: da una parte i cosiddetti insiders (il 53% che aveva un posto di lavoro) e dall’altra gli outsiders, cioè quel 47% lasciati ai margini o del tutto esclusi dal mercato del lavoro.

Lui, che aveva visto il futuro, aveva due possibilità: quella più comoda di fare finta di nulla e di essere assolutamente conformista; oppure quella di accettare, come tutti i visionari, di essere oggetto di odiosi attacchi ingiustificati.

Ha avuto un coraggio inusitato: ha scritto e pubblicato il Libro Bianco sul Mercato del Lavoro, il cui sottotitolo significativamente era “proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità”. E’ un testo del 2001 che è tuttora una fonte inesauribile d’ispirazione per affrontare le nuove sfide del lavoro, soprattutto rileggendo la seconda parte del documento dove vengono individuate le sue proposte concrete.

Ha subito ingiustificati attacchi dalla maggior parte del mondo accademico e sindacale, che lo hanno additato come il padre dell’insicurezza e della precarietà. Aggressioni ingiuste, frutto o di una mancata lettura del Libro Bianco e della sua opera complessiva o, peggio, di conformismo e paura di subire quelle stesse aggressioni di cui Biagi era stato vittima. Si formò una sorta di pensiero unico (ignorante o disonesto) che vedeva in Biagi come il “cavallo di Troia” verso un mondo del lavoro governato dalla “cattiva occupazione”.

La sua integrità e la fede nelle sue idee gli hanno dato la forza di non arrendersi e di non scoraggiarsi.

Molte sono le sue doti, ma se devo dire quale sia quella che più mi affascina (e che gli invidio) è quella del coraggio: pochi (e forse solo Biagi) avrebbero avuto la temerarietà di proseguire dritto, di credere in modo instancabile nelle proprie idee e di non nascondersi nella massa, conformandosi al pensiero comune (e sbagliato).

La miglior riprova della sua capacità di leggere il presente (in quanto viaggiatore nel futuro) è data dalla lettura di un breve messaggio che accompagnava l’ultimo articolo di fondo di Marco Biagi e che concludeva: “È legittimo considerare ogni elemento di modernizzazione o progresso un pericolo per le classi socialmente più deboli. È sempre stato così nella storia che anche in questo caso si ripete. (…) Lo stesso ‘Statuto dei lavori’ significa rivedere la tutele delle varie forme di lavoro e non solo estendere quelle attuali a chi ancora non ne dispone. Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, insomma pagando anche prezzi alti alla conflittualità”.

La cosa più straziante è pensare che, se Biagi aveva (come sospetto) la capacità di vedere il futuro, sapesse dell’intollerabile prezzo che avrebbe dovuto pagare personalmente in questa alta conflittualità.

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