Cornelia Silaghi è la parassitologa veterinaria a capo di un progetto condiviso tra il centro di ricerca tedesco Friedrich Loeffler Institute (Fli) e l’Istituto di medicina veterinaria sperimentale e clinica di Kharkiv. “Era una ricerca epidemiologica molto semplice”, afferma Silaghi. Perciò è rimasta scioccata quando il ministero della Difesa russo ha affermato che quel lavoro faceva parte di uno sforzo segreto per armi biologiche finanziato dall’Occidente
Non armi chimiche letali ma semplice ricerca di base. Rispondono così i ricercatori ucraini alle accuse dei russi che in queste ore stanno diffondendo fake news sul rischio di armi chimiche fabbricate nel Paese con il sostegno – secondo loro – degli Usa e di altri Paesi occidentali. La presa di posizione compare sulla prestigiosa rivista Science, che racconta la storia di una ricercatrice trovatasi, suo malgrado, coinvolta da un giorno all’altro in un conflitto portato avanti a colpi di disinformazione. Si tratta di Cornelia Silaghi, parassitologa veterinaria a capo di un progetto condiviso tra il centro di ricerca tedesco Friedrich Loeffler Institute (Fli) e l’Istituto di medicina veterinaria sperimentale e clinica di Kharkiv. La collaborazione, partita nel 2020, era iniziata per esaminare i parassiti dei pipistrelli, per lo più sanguisughe come zecche e pulci. L’obiettivo era analizzare che tipo di batteri ospitavano i pipistrelli in Ucraina, un primo passo per identificare qualsiasi potenziale minaccia per la salute umana. “Era una ricerca epidemiologica molto semplice”, afferma Silaghi. Perciò è rimasta scioccata quando, il 10 marzo scorso, un funzionario del ministero della Difesa russo ha affermato che quella ricerca faceva parte di uno sforzo segreto per armi biologiche finanziato dall’Occidente. La tv di stato russa e i siti di news hanno citato il rapporto affermando che il lavoro era un “complotto ucraino”, aiutato dagli Stati Uniti, per inviare uccelli, pipistrelli e rettili colpiti da malattie oltre il confine per infettare i russi.
Questa settimana lo stesso presidente russo Vladimir Putin ha parlato di dozzine di laboratori in Ucraina che sperimentano su coronavirus, antrace e colera sotto la direzione e il sostegno finanziario del Pentagono. Nel Paese si studia e si fa ricerca come in altre nazioni del mondo, anche su agenti patogeni potenzialmente pericolosi, con collaborazioni internazionali con diverse università tedesche, inglesi, americane. Questo non è sufficiente per poter sostenere una potenziale cospirazione ucraina a danno della popolazione russa. Eppure è quel che sta accadendo in queste ore. Già nei giorni scorsi i vertici russi avevano accusato gli Stati Uniti di ospitare componenti di armi biologiche vicino al confine russo-ucraino. La polemica è montata ulteriormente quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha avvertito che l’escalation degli attacchi avrebbe aumentato il rischio di fuga di agenti patogeni pericolosi sotto i bombardamenti e ha consigliato a Kiev di distruggere questi patogeni con lo scopo di prevenire “eventuali fuoriuscite”. E intanto Mosca sostiene di avere prove e documenti a sostegno della propria. Ma le cose non stanno così secondo Science: una semplice collaborazione scientifica è diventata rapidamente un’arma di propaganda.
Ma come si innesca la disinformazione? “Inserendo nelle false notizie piccoli scampoli di verità”, commenta l’esperta di biosicurezza del King’s College di Londra Filippa Lentzos. Come prova, le autorità russe hanno pubblicato un’immagine sgranata dell’accordo di trasferimento del campione tra il laboratorio di Silaghi e l’istituto veterinario di Kharkiv. E poi giocando sulla paura, come quella per i pipistrelli che ricorda la pandemia di Covid. L’11 marzo, in una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite convocata dai rappresentanti russi per discutere della presunta ricerca ucraina sulla “guerra biologica”, l’ambasciatore russo Vassily Nebenzya ha affermato che i pipistrelli erano considerati portatori di potenziali agenti di armi biologiche e ha offerto l’accordo di trasferimento del campione come prova. “Non sappiamo nulla del destino di quei pericolosi biomateriali e delle conseguenze che potrebbero verificarsi una volta che si “dissipano””, ha detto Nebenzia al Consiglio di sicurezza. “Il rischio è alto che possano essere rubati per scopi terroristici o per essere venduti al mercato nero”. “Non è vero, sono nel mio congelatore” dice Silaghi. Inoltre, spiega, non ci sono agenti patogeni che potrebbero essere diffusi. “Quello che è stato detto è completamente assurdo” commenta la ricercatrice, che ancora non capisce come il ministero della Difesa russo abbia ottenuto l’ordinario accordo di cessione. Anton Vlaschenko, un biologo con sede a Kharkiv e collaboratore del progetto, sospetta che uno degli account di posta elettronica del team sia stato violato dai russi.
Il discorso di Nebenzya, inoltre, includeva un’altra classica tattica di disinformazione: sollevare violazioni non correlate di armi biologiche di decenni prima, in questo caso la ricerca giapponese dell’era della Seconda guerra mondiale su pulci e zecche. Da quel 10 marzo la vita della ricercatrice è un inferno, e purtroppo non è un caso isolato. Cornelia sta ricevendo email inquietanti da account anonimi. In di queste è stata accusata di comportarsi come una scienziata nazista. “Naturalmente sono coinvolti accademici senza scrupoli, proprio come nel Terzo Reich” commenta. Ma la scienziata non ci sta e reclama giustizia: “I russi devono sapere che è una bugia”, denuncia su Science.