di Giovanni Ceriani
Dopo due anni ricordo ancora con estremo rispetto, sincera commozione e quasi sacralità la foto delle bare di Bergamo: sia per quello che ha rappresentato nel suo inaspettato e sconvolgente apparire, sia per tutto quello che ne è seguito, inghiottendoci in un lungo percorso di cura, solidarietà e protezione reciproca.
E per questo non accetto che si faccia alcun paragone tra quella “guerra” (nome già a suo tempo inadatto ma comunque innocuo) e quella di oggi, che ci sia un giudizio di assoluta e irriducibile discontinuità. Una discontinuità – qui sì – come quella tra il Bene e il Male, tra la Vita e la Morte, la Responsabilità e l’Irresponsabilità.
Sì, perché allora c’era in ballo la lotta contro un virus, un patogeno naturale e incolpevole. Oggi siamo di fronte ad una spirale di guerra, artificiale e colpevole come tutte le guerre. La patologia della guerra come mezzo disumano di “risoluzione” delle controversie. La guerra come malattia e il suo indotto ideologico altrettanto malato, insano e contagioso.
Allora c’era un immaginario di solidarietà diffusa, con un “eroismo” (nome già a suo tempo inadatto, ma comunque innocuo) di medici, infermieri e volontari impegnati assiduamente in un lavoro di cura: vera cura delle persone. Oggi siamo dentro una escalation di guerra, che addirittura mescola piano militare e piano civile, trasporto di armi e corridoi umanitari, linguaggi di pace e pratiche di guerra. Dove “eroi” sono tornati ad essere i militari, i più agguerriti tra loro, fino ai retori della guerra, della patria e del sacrificio.
Allora c’era un generoso internazionalismo, che per un momento ha unito i paesi del mondo, rendendoci tutti fratelli, anche con cinesi, russi e cubani, e facendoci illudere che ne saremmo usciti meglio di prima. Oggi di nuovo in preda ai nazionalismi della guerra, agli scontri di civiltà, alla costruzione di muri, alla paranoia sciovinista di macro-medio-micro raggio: Oriente-Occidente, Ucraina-Russia, Noi-Loro.
Allora c’era stato un ripensamento delle politiche sociali e sanitarie, il riconoscimento dell’errore dei tagli al welfare e ai diritti sociali di tutti, il tentativo di impostare una nuova politica economica, espansiva e keynesiana di pace. Oggi siamo riatterrati e sprofondati nei bilanci di guerra, negli investimenti militari, nel ritorno al solito keynesismo di guerra, con generosità-di-debito perché finalizzato alla guerra, il più profittevole e remunerativo degli investimenti (e indebitamenti).
Ieri un uso dei militari (e carroarmati) a fini civili e di pace. Oggi un cinico abuso del civile e dell’umanitario a fini militari.
Ieri il virus del Covid-19, oggi un virus ben peggiore: quello della guerra, della sua propaganda e dei suoi “eroi”.