A San Pietroburgo, la città natale di Vladimir Putin, il 21esimo giorno di guerra è un giorno qualsiasi. Altro che guerra dei brand, della moda e del lusso. Nel mall “Galeria” i russi possono acquistare come sempre costosi prodotti occidentali, anche quelli di aziende americane ed europee che avevano annunciato il boicottaggio e la chiusura di negozi e rifornimenti. Aperti come se nulla fosse i negozi di Nike e Timberland, una batteria di boutique francesi e inglesi… e sì, anche del Made in Italy: Boggi, Patrizia Pepe, Trussardi e anche Armani che, mentre dona 500mila euro e vestiti ai profughi ucraini, fa il 30% di sconti ai clienti russi. A raccontarlo con un certo stupore un cittadino italiano che ha fatto le riprese con il telefono in questo tempio del consumismo eretto nel 2010 nel cuore dell’ex Leningrado: 300 negozi, 28 tra ristoranti e caffè, 10 schermi cinematografici. “Aperto il negozio della Nike e quello di Lagerfeld che ha detto che chiudeva tutto. C’è Timberland, New Balance, Armani con due negozi. Solo Swatch, Hugo Boss e Adidas hanno chiuso. Questa è la verità”.
Boggi Milano tiene aperto, sul sito rassicura la clientela che la consegna merci è garantita da un magazzino a Mosca. Aperti anche Patrizia Pepe, Trussardi, Furla, Pinko e Armani, primo tra gli stilisti a riconoscere l’orrore di quanto sta accadendo e a dare un segnale forte facendo sfilare senza musica la collezione Giorgio Armani Autunno-Inverno 2022. Una nota fa sapere che il Gruppo sta valutando “alcune misure sulla base della propria struttura distributiva, gestita con partner locali. Il canale e-commerce ha cessato le spedizioni per la Russia”. Gli uffici stampa di altre aziende retail spiegano che i contratti di franchising non contemplano una chiusura “unilaterale” per motivi geopolitici: l’unica opzione è non rifornirli e farli chiudere per esaurimento delle scorte. Scese in guerra contro Putin, le aziende capitalistiche occidentali dimostravano di avere quasi un’anima. Ma quella del commercio, a quanto pare, prevale sempre.