Da Arnold Schwarzenegger ai Pink Floyd, (sì, anche loro sono entrati a far parte degli schieramenti in campo), molti personaggi pubblici, tra cantanti, attori e artisti di vario genere hanno scelto di manifestare le proprie “simpatie” in quella che è già stata ribattezzata come “guerra della comunicazione”, dove le strategie si studiano in parallelo, sul campo di battaglia e sulla tastiera.
Ci piaccia o no, di fatto è questa una “guerra emozionale”, o meglio ancora una “social war”, nella quale sta prendendo piede un inedito fattore di “engagement” su scala globale, che può contare su foto più o meno amatoriali da dare in pasto ai social o su video fake da smascherare.
Putin è stato colto di sorpresa, non solo dalla resistenza sul campo degli irriducibili ucraini, ma soprattutto dalla sagacia del suo diretto oppositore, che ha ingaggiato le armi della guerra mediatica che sta combattendo in parallelo rispetto a quella nelle principali città della martoriata Ucraina. Non a caso Yuriy Kostyuk, il vicecapo dell’Ufficio di Zelensky, è considerato “l’arma segreta” del presidente per il ruolo cruciale che riveste, oggi, nella comunicazione.
Il sospetto è che si tratti di un conflitto sfuggito di mano al suo stesso fautore, che proprio per questo è corso a ripari stucchevoli e inefficaci, chiudendo a chiave l’informazione nel suo Paese in una bolla e intraprendendo misure di anacronistica repressione. È notizia recente la chiusura di alcuni tra i social più popolari, come Instagram – a seguito del rifiuto di proibire l’incitazione all’odio contro i russi e le truppe sovietiche – e sembrerebbe essere già pronta l’alternativa Rossgram, online dal 28 marzo.
Si tratta dell’estensione delle cosiddette “purghe putiniane” all’inafferrabile mondo dei social, ma la lotta non è in questo caso contenibile e indirizzabile verso un manipolo di oppositori del regime. Forse qualcuno dovrebbe riferire a Putin che sta cercando di rincorrere affannosamente i componenti di una community sterminata che “liberamente” condivide, deride i video fake russi e sbeffeggia l’avversario, indebolendo la sua posizione politica sul piano interno e su scala globale. Anche se, si sa, nel mondo dei social poco accade per caso.
Dall’altra parte Zelensky sa spiazzare con arguzia (forse derivante dal suo passato come attore) e gioca abilmente con i suoi video che sfrutta come potenti armi, disarmando la disinformazione russa che si serve dei canali digitali in modo troppo tradizionale. Non chiamiamola cyberwar, non è la solita guerra alle infrastrutture web attraverso abili hacker, che pur si sono mossi da entrambe le parti, mandando in tilt sistemi informatici pubblici e privati da ambo le parti. È molto altro. Stiamo assistendo – come già evidenziato – a un vero e proprio “campo di battaglia” social che si serve della realtà per insidiarsi inaspettatamente nelle nostre coscienze, invitandoci a schierarci e inducendo alla più strenua resistenza. E così si spiegano sempre di più le ”metamorfosi social” delle armi utilizzate nelle guerre odierne, come i Kalashnikov con streaming incorporato.
È indubbiamente questa una guerra delle emozioni, Zelesnky l’ha percepito, sbaragliando il suo avversario che si sta rivelando sempre di più un goffo gigante dai piedi d’argilla, totalmente incapace di reagire in un mondo, quello digitale, che non gli è consueto. E il coraggio ostentato da Zelensky viene condiviso da centinaia di migliaia di persone, in tutto il mondo, vincendo così battaglie giorno dopo giorno, affidandosi agli algoritmi della rilevanza dei post sui social.
Così la Russia appare incapace nelle sue strategie di comunicazione affidate, da una parte, a sempre meno convincenti video fake che popolano la televisione di regime, come il deepfake con la falsa resa di Zelensky (smascherato subito e deriso in tutto il web), e, dall’altra, a una comunicazione incredibilmente rigida e inconcludente a livello social. E le stesse piattaforme si divertono ormai ad aggirare facilmente il veto della censura putiniana, come nel caso della versione Tor di Twitter. Insomma, la Russia appare oggi sempre più sola e dileggiata, nelle sue arcigne censure, mentre l’Ucraina si apre al mondo e alle sue condivisioni.
Questa guerra insegna che il terreno di conquista nell’era della sorveglianza e della disinformazione non è più solo fisico, ma anche multimediale, non è solo circoscritto, ma diventa globale. Forse non ce ne stiamo accorgendo, ma questa “social war” sta cambiando, giorno dopo giorno, anche il concetto di “influenza” sul piano dei rapporti internazionali, quindi politici ed economici. Perché i governanti di molti Paesi fanno i conti con la propria opinione pubblica, che – soprattutto sui social – diventa, per la prima volta, allo stesso tempo “bersaglio” e “arma” potentissima di questo conflitto.
Una cosa sembra potersi affermare con certezza: il vero vincitore di questa guerra non sarà quello che farà sventolare la propria bandiera sul territorio ucraino, ma chi avrà saputo sfruttare nel modo più efficace le nuove armi della comunicazione globale.