“È un orrore che non possiamo descrivere. In famiglia riusciamo a pensare soltanto alla guerra, è un fardello psicologico anche per noi che abitiamo in Russia”. A parlare è Andrey, ventinovenne impiegato nel settore energetico a Syktyvkar, capitale della Repubblica del Komi, nella Russia centrale. Racconta a ilfattoquotidiano.it la difficoltà di tanti russi che in tutto il Paese si chiedono la ragione di questa guerra. C’è chi si espone pubblicamente, come la giornalista del primo canale russo Marina Ovsyannikovache durante il telegiornale ha esposto un cartello contro la guerra ed è stata poi arrestata e interrogata – o l’ottantunenne artista pietroburghese Yelena Osipova, tra le poche sopravvissute all’assedio nazista di Leningrado, che da giorni manifesta contro l’invasione dell’Ucraina. C’è chi sceglie di andare via: soltanto in Georgia sarebbero già ventimila i russi emigrati dall’inizio del conflitto, a cui vanno aggiunti quelli scappaiti in Turchia, Armenia o anche in Europa, prima della chiusura degli spazi aerei. E chi invece, come Alena, anche lei cittadina di Syktyvkar e project manager del centro culturale Revolt Pimenov, sceglie di indossare un semplice giubbotto con la scritta “No alla guerra”, pur sapendo quello che rischia. “L’ho fatto quando ancora il governo non aveva varato le ultime misure repressive, eppure la polizia mi ha lo stesso arrestato e interrogato. Dopo qualche giorno, mi hanno liberato perché non avevano nulla, oggi rischierei di finire in carcere per 15 anni“, dice a ilfatto.it. Un rischio che in tanti preferiscono non correre, scegliendo strade alternative.

“Vorrei andarmene ma non so come” – “Ho una famiglia con quattro bambini, non me la sento di manifestare in piazza. La mia contrarietà alla guerra però la esprimo lo stesso: la riporto su Facebook, ne parlo con i miei amici, cerco di convincere quante più persone possibili che quello che sta succedendo in Ucraina è sbagliato”. Il trentanovenne Aleksej (nome di fantasia), riservista dell’aviazione russa che oggi abita a Mosca con la sua famiglia, sembra convinto di quello che dice e la paura di una chiamata alle armi non pare toccarlo. “Un’eventuale chiamata dell’esercito non mi preoccupa semplicemente perché diserterei: la mia famiglia ha bisogno di me qui, a casa”, dice. Proprio per loro la scelta pare inevitabile. “Vorrei andare via dalla Russia ma non so come farlo, visto che i voli verso l’Europa sono stati bloccati. Però è lì, o in America, che immagino il nostro futuro”. Chi ci è riuscita è la trentaquattrenne Anna, che insieme al marito e al loro bambino di quattro anni, ha lasciato la Russia a inizio marzo con un visto Schengen valido per soli novanta giorni. Parla in videochiamata su Telegram in diretta da Calella, un paesino nella Comunità autonoma catalana distante cinquanta chilometri da Barcellona. “Lavoravo in un’azienda del settore IT. Appena abbiamo visto come si era messa la situazione abbiamo deciso di andare via da Mosca. Al contrario di mio marito, che lavora come me nel settore tech, io ho scelto di non manifestare per proteggere mio figlio. Un gesto che però abbiamo condiviso entrambi, era giusto anche per le tante persone che conosciamo in Ucraina che ci avevano chiesto di prendere posizione. Speriamo adesso di poter ugualmente essere utili anche da qui”, dice.

“Peggio della caduta dell’Urss” – “La situazione che abbiamo davanti è decisamente peggiore rispetto a quella del 1990, quando cadde l’Unione Sovietica. Secondo me la Russia sta solo facendo del male a se stessa con questa guerra e per tale ragione ho anche litigato con mio figlio”. A dirlo è il pietroburghese Kostantin, cinquant’anni e un lavoro come avvocato presso un importante azienda edile della città. “Con i tassi ipotecari al venti per cento molte persone eviteranno di fare mutui e così molte imprese saranno costrette a chiudere. Per questo cerco di convincere le persone che questa guerra era evitabile, ma in tanti non sembrano preoccuparsi e si fidano del governo. Mio figlio Yuri, titolare di un palestra di fitness, è uno di quelli: segue poco la politica e si fida di quello che dice Putin. Io credo che in questo momento non si possa restare indifferenti a quanto succede in Ucraina”, afferma.

Gli effetti delle sanzioni – Anche coloro che non concordano sulla linea del Cremlino hanno però qualcosa da rimproverare all’Occidente. “Non mi piacciono queste misure decise dall’Europa e dagli Stati Uniti: servivano misure ad hoc per gli oligarchi e i politici. Che colpa abbiamo noi russi di quello che decidono?”, si domanda Aleksej. “Anche le decisioni del mondo dello sport mi sono sembrate ingiuste, come l’esclusione della Nazionale russa di calcio dagli spareggi dei Mondiali e quella dello Spartak Mosca dai quarti dell’Europa League, così come quella delle aziende, anche di quelle che si occupano dei più piccoli”. Una storia che conosce da vicino: “Avevo regalato a mio figlio di sette anni una PlayStation per Natale ma, adesso che sono stati bloccati tutti i giochi, incluso il suo preferito Minecraft, mi chiede se appena finirà la guerra potrà tornare a giocarci. Io cerco di spiegargli la situazione, ma non è semplice”. Le conseguenze economiche delle sanzioni sono inevitabili per tutti. “Hanno cambiato la vita della mia famiglia sotto tutti gli aspetti. Pensavamo di andare in vacanza all’estero a marzo 2022 e meno male che non abbiamo comprato i biglietti, con la chiusura degli spazi aerei non avremmo potuto utilizzarli. Fino a pochi mesi fa percepivo uno stipendio di seicento dollari al mese e adesso, al tasso di cambio attuale, ne prendo soltanto trecento. I prezzi di tutti i prodotti alimentari sono aumentati notevolmente, per alcune categorie di merci addirittura del doppio: cosa succederà fra uno-due mesi? Riusciremo ancora a vivere?”, è il timore di Andrey. Anche lui vorrebbe andar via dalla Russia e non sa bene come fare, dice.

Scegliere tra l’estero e il carcere – Per tutti la guerra ha cambiato vita quotidiana, prospettive e aspettative sul futuro. “Io spero di poter rimanere nella mia città, che mi dà tanta forza, e di non essere costretta a trasferirmi”, spiega Alena. “Mi auguro che la situazione non mi imponga di scegliere tra l’estero e il carcere. Lo stato attuale non promette nulla di buono: vedo intorno a me che i poveri sono aumentati, molte persone hanno già perso il lavoro e anch’io ogni giorno mi sveglio chiedendomi che cosa succederà durante la giornata”. La guerra impone scelte spesso drastiche, come quella di Anna: “La mia decisione di andare in Spagna è stata sofferta, io amo la Russia e la mia famiglia si trova tutta lì, comprese le mie due nipotine che amo, ma siamo stati costretti a partire per evitare che mio marito venisse nuovamente fermato dalla polizia. Adesso mi mantengo in contatto con i miei familiari in Russia tramite Whatsapp e penso sia molto difficile pensare di tornare lì, almeno nel breve-medio periodo”, afferma.

“Pagheranno le nuove generazioni” – “Tante persone intorno a me sono favorevoli alla guerra, anche se alcune lo sono solo per quieto vivere. Per molti Putin è stato colui che ha garantito il benessere dopo la fine dell’Unione Sovietica”, evidenzia Aleksej. “Per questo in Russia”, sostiene, “c’è una sorta di patriottismo militare che è diventata ormai una religione laica, con Vladimir Putin come sacerdote. Tante persone sono allineate a questo sistema e per questo credo che anche senza di lui il suo sistema di potere resterà”, conclude. Per Konstantin “questa guerra è catastrofe geopolitica per la Russia, anche più della caduta dell’Unione Sovietica secondo l’idea di Putin. Per questo credo che l’economia russa non reggerà al peso delle sanzioni, che avranno un impatto sul presente e il futuro del Paese. Non so davvero cosa possa fare Putin per riuscire a sbrogliare la matassa”, sostiene Kostantin. E a portare il peso del disastro saranno le nuove generazioni: “Questa guerra voluta da uno solo alla fine farà del male a tutti noi”, dice Andrey. “Mi spaventa pensare a come sarò trattato e giudicato in tutto il mondo ma soprattutto ho paura per i miei figli, che dovranno portarsi addosso il peso di essere russi“.

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