Gli allevamenti di bovini (la cui carne è largamente consumata in Europa, Italia inclusa) insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura. E Greenpeace denuncia: "Ci sono multinazionali e governi che stanno facendo di tutto per annacquare la normativa europea, ad esempio aggirando l’obbligo di tracciabilità"
Mentre nei giorni scorsi i ministri dell’Ambiente dei Paesi Ue si sono incontrati per discutere della bozza della normativa che dovrebbe puntare a eliminare i prodotti che causano deforestazione dalle catene di approvvigionamento europee, solo nelle prime tre ore di riunione sono andati persi circa 3.300 ettari di foreste, pari a un’area estesa come Bruxelles. D’altronde, tra il 2001 e il 2015 è scomparso l’equivalente del territorio della Germania a causa dell’espansione delle aree agricole. E l’Europa ne sa qualcosa, dato che è il secondo maggior importatore al mondo di prodotti legati alla deforestazione, dalla carne ad alcune coltivazioni, fino al legno. L’Italia è ai primissimi posti. In occasione della Giornata internazionale delle Foreste, che si celebra il 21 marzo, anche il Consiglio internazionale del PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale, ha ribadito la necessità che il legno provenga “da una gestione forestale sostenibile” e non da deforestazione, tagli illegali e degrado di ecosistemi.
Il legname di guerra
Lo ha fatto annunciando che il legno proveniente dalla Russia e dalla Bielorussia sarebbe stato ufficialmente considerato ‘legname di guerra’, in quando il conflitto “ha un impatto distruttivo immediato e a lungo termine” anche “sull’ambiente, sulle foreste e sulle persone che dipendono dalle foreste per il proprio sostentamento”. Pessima notizia, considerando che le foreste sono strategiche nei piani mondiali contro il riscaldamento globale. Il Wwf ricorda, infatti, come “per quanto l’uomo possa adoperarsi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, non sarà possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C entro metà del secolo senza preservare la capacità delle foreste e di altri ecosistemi naturali, come le savane e zone umide, di assorbire ingenti quantità di CO2 dall’atmosfera”.
Foreste e clima: da parte della soluzione a parte del problema
Le foreste, in particolare, sono a livello globale il secondo maggior serbatoio di carbonio dopo gli oceani. Come spiega il Wwf nel report Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali, trattengono complessivamente 861 miliardi di tonnellate di carbonio “e ogni anno assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche di CO2, evitandone l’accumulo in atmosfera”. Considerando che gli alberi sono costituiti per circa il 20% del proprio peso da carbonio, però, parte della CO2 assorbita dalle foreste tramite la fotosintesi viene riemessa in atmosfera quando gli alberi vengono tagliati. “In questo modo, da essere parte della soluzione le foreste diventano parte del problema”, spiega il Wwf. Di fatto, la deforestazione rappresenta la seconda fonte umana di CO2, con 8 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno dal 2000 ad oggi, periodo in cui è stato perso ben il 10% della superficie forestale mondiale. Secondo il report del Wwf “quasi il 90% della deforestazione a livello globale è dovuto all’espansione dell’agricoltura”. Gli allevamenti di bovini (la cui carne è largamente consumata in Europa, Italia inclusa) insieme alle coltivazioni di palma da olio, soia, cacao, gomma, caffè e legno sono stati responsabili del 57% della deforestazione connessa con l’agricoltura tra il 2001 e il 2015. Da quell’anno e fino al 2020, stima Greenpeace, il mondo ha perso circa 51 milioni di ettari di foreste, pari a un’area delle dimensioni di un campo da calcio ogni due secondi.
I tentativi di annacquare la legge europea
Sebbene la normativa europea proposta per ridurre il contributo dell’Ue alla deforestazione sia un passo avanti, restano ancora – come denunciato da Greenpeace – notevoli lacune. Tra queste, l’inadeguata tutela dei diritti umani e di altri importanti ecosistemi diversi dalle foreste, l’omissione di obblighi per il settore finanziario e il mancato inserimento nella lista dei prodotti interessati dalla normativa di gomma, mais e carne di maiale e pollo, la cui produzione ha gravi impatti su foreste e biodiversità. I ministri dell’Ambiente degli Stati membri dovrebbero concordare la loro posizione rispetto alla normativa entro la prossima riunione, che si terrà il 28 giugno. Anche il Parlamento europeo ha iniziato a redigere la sua posizione, con il voto in Commissione Ambiente previsto per l’11 luglio. “Ci sono multinazionali e governi che stanno facendo di tutto per annacquare questa normativa” racconta, però, Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Per esempio, nonostante gli impegni presi durante l’ultimo vertice mondiale sul clima (Cop26) per accelerare la protezione delle foreste – spiega – quattro delle più grandi aziende agroalimentari del mondo (Bunge, Cargill, ADM e Viterra) stanno cercando delle scappatoie per aggirare l’obbligo di tracciabilità di prodotti e materie prime”. L’obiettivo è quello di non essere costretti a indicare con precisione l’appezzamento di terreno dove sono state coltivate le materie prime (nel caso della soia o dell’olio di palma e dei loro derivati come mangimi o biocombustibili) o dove hanno pascolato gli animali (nel caso della carne e del cuoio).