“Se potessimo fermare le importazioni di petrolio dalla Russia lo faremmo automaticamente. Non è una questione se lo vogliamo o no, ma quanto siamo dipendenti“. La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha riassunto così, da Bruxelles, il dilemma sul greggio di Mosca. Il nuovo pacchetto di sanzioni che arriverà al vertice dei capi di Stato e di governo del 24 marzo è ancora privo di una delle sue armi più potenti: l’embargo sul petrolio russo. E Berlino è tra coloro che hanno frenato: tra i grandi Paesi europei, la Germania è infatti quello con la maggior quota di importazioni di gas dalla Russia, davanti all’Italia, e lo stesso vale (di gran lunga) per il petrolio. Che è tornato nel mirino della Ue non a caso: il maggior flusso di ricavi per il Cremlino arriva proprio da greggio e prodotti petroliferi. Per un valore che l’anno scorso, ricorda un report dell’organizzazione non governativa Transport & Environment, ha sfiorato i 180 miliardi di dollari (110 solo di greggio) contro i 54 incassati dalla vendita di gas.

Unione europea e Gran Bretagna sono ovviamente ottimi clienti con un esborso 2021 di 104 miliardi di dollari: il più alto dal 2014, l’anno dell’annessione della Crimea e delle prime misure restrittive degli scambi. Nel 2020 c’è stato ovviamente un crollo, poi con la fame di carburante per i trasporti e gli usi industriali legata alla ripresa post Covid gli acquisti sono raddoppiati facendo salire la spesa a 285 milioni di dollari al giorno. Oggi ben di più, considerato che il barile è rincarato dai 70 dollari medi del 2021 a più di 100. E’ questo flusso di liquidità a consentire a Mosca, almeno nel breve periodo, di reggere l’onda d’urto della prima tornata di sanzioni e finanziare la sua avanzata in Ucraina. La ong, che da tempo chiede un embargo sul petrolio russo, ha messo a punto un eloquente grafico (nella foto sopra) che mostra come il valore delle importazioni europee di petrolio dalla Russia appaia direttamente correlato con l’andamento della spesa russa per la difesa sulla base dei dati dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma. “Il budget del ministero russo della Difesa è legato al prezzo del petrolio. Vista la costante e affidabile domanda di petrolio dalla Ue, è chiaro che Bruxelles ha dato un contributo chiave alla modernizzazione delle forze armate russe”, nota T&E.

Analisi di Transport & Environment su dati Banca mondiale e Eurostat

Tenuto conto che la Russia vale un quarto delle importazioni di greggio della Ue a 18, un embargo sul petrolio sarebbe evidentemente assai doloroso anche per i compratori, come non ha mancato di sottolineare il portavoce di Vladimir Putin. La Germania è appunto lo Stato più esposto in valori assoluti: stando agli ultimi dati importa da Mosca un quarto del greggio comprato dall’intera Ue (più Londra), oltre 28 milioni di tonnellate l’anno contro le 18 della Polonia e le 13 dei Paesi Bassi. L’Italia si ferma a 5,6 milioni di tonnellate.

Se invece si guarda alla percentuale di greggio e prodotti petroliferi importati dalla Russia sul totale delle importazioni, i Paesi più dipendenti sono Slovacchia (78,4%), Polonia, Finlandia e Lituania, con oltre due terzi. Per Berlino la quota è del 29,7%, per Parigi del 13,3%, per Roma del 12,5%. Anche se questi dati, avverte Transport & Environment, non tengono conto dell’uso di prodotti raffinati in altri paesi europei da materia prima russa.

La stragrande maggioranza del petrolio importato dalla Russia arriva via mare. Dieci grandi porti gestiscono più del 50% dei flussi: in testa c’è Rotterdam con oltre 26 milioni di tonnellate l’anno, seguita da Gdansk in Polonia. Trieste e Genova sono al terzo e sesto posto, mentre Le Havre e Marsiglia sono i grandi hub di arrivo per la Francia. Anche solo un embargo limitato allo scalo dei Paesi Bassi, nota il rapporto, avrebbe “un impatto significativo su quanto petrolio di Putin viene importato nel continente”.

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