Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti ad Antonio Manzini, Luigi Torres Cerciello, Abdulrazak Gurnah e Annie Ernaux

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

GUARDA LE LUCI, AMORE MIO - 4/4

Quando un romanziere devia verso il trattatello socio-antropologico tout-court bisogna sempre alzare le antenne. Il rischio di una piatta catastrofe è dietro l’angolo. Guarda le luci, amore mio di Annie Ernaux (L’Orma editore) è uno di quei titoli di cui si può anche non sentire la mancanza. È vero, nella sua lunga e ricca carriera Ernaux ha saputo riformulare le coordinate della forma romanzo mimetizzando l’onnipresente autobiografia tra le pieghe della diaristica e gli echi della narrazione storica. Solo che questa volta – Guarda le luci, amore mio è comunque del 2012 ed è stato stampato solo ora ndr – il contributo all’originale filone personale è drammaticamente esiguo. In pratica l’autrice francese aveva risposto all’appello “Raccontare la vita” del suo editore francese (Gallimard) buttando giù le righe tratte dalla sua frequentazione, carrello e borsine della spesa, per un anno di un ipermercato Auchan. Non che dopo Marc Augé e il suo concetto di “non luogo” (1992) non si possa più dire altro. Figuriamoci. Il problema però è proprio la desolante prosa offerta, antesignana claudicante di un post sui social tenuto in bozza e di un foglietto svolazzante dove si è annotato il più e il meno davanti alla cassa. Le analisi socio-economiche variamente abbozzate sono da marketing di terza superiore, la descrittività ordinaria tra le corsie sfiora i vocali della signora Assunta lasciati (e mai ascoltati) dal marito Giuseppe, i paragoni scivolano sul terreno dei brividi dell’imbarazzo (“tutto un mondo che, quando si è ancora fuori al freddo nel parcheggio, di fronte a questo Cremlino (sic) di mattoni, resta nascosto e insospettabile”). L’apice però si raggiunge quando nel capitoletto ordinato attorno ad una chiusura serale dell’iper, Ernaux fa la spesa tra gli ultimi clienti e descrive l’ovvio momento della chiusura con una retorica della superficialità difficilmente superabile: “Gli scaffali sono impercettibilmente in disordine. Con piccoli buchi. Non c’è più zucchero a velo. Bancali mezzi vuoti. L’impressione di sedersi a tavola quando gli altri commensali se ne sono andati”. Voto: 4

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