Diritti

Matrimonio egualitario, Partito Gay raccoglie le firme per un referendum. L’iniziativa non convince le associazioni Lgbt, dubbi nel Pd

Il Comitato promotore, guidato dal Partito Gay di Fabrizio Marrazzo, punta ad abrogare parte della legge sulle unioni civili, in modo da equiparale al matrimonio. Ma la strada appare tutta in salita. L'iniziativa non convince né il Partito democratico, né diverse associazioni rappresentative dell'universo arcobaleno, che la considerano complessa, se non controproducente.

C’è chi nella comunità Lgbt+ ha ormai perso la fiducia su un Parlamento immobile. Così c’è chi punta verso una via extraparlamentare. Forse anche per l’effetto delle raccolte firme sui referendum su eutanasia legale e cannabis (al di là della bocciatura della Consulta) o la spinta delle firme digitali, anche nel movimento arcobaleno si tenta la stessa carta, quella del referendum abrogativo.

L’idea è di Fabrizio Marrazzo, portavoce del “Partito Gay-LGBT+“, primo sostenitore del Comitato “Sì Matrimonio Egualitario“. L’obiettivo? Raccogliere (almeno) 500mila firme per “eliminare quei passaggi normativi – una parte dell’articolo 1, comma 20, e i commi dal 21 al 26 – della legge sulle Unioni civili, obsoleta, che la differenziano dal matrimonio”, spiega Marrazzo, già portavoce di GayCenter e candidato sindaco alle ultime Comunali di Roma, dove ha raccolto 2735 preferenze, lo 0,25%. La proposta, sostenuta da pochi parlamentari, non è appoggiata dal Pd, né dalla promotrice delle Unioni civili, Monica Cirinnà. E non convince nemmeno diverse associazioni dell’universo Lgbt, che la considerano complessa o controproducente. Il motivo? Norme alla mano, anche se la mobilitazione avesse successo, è quasi impossibile che la consultazione si possa tenere, almeno non prima del 2024. E c’è il timore di un flop alle urne, se non già nell’iter previsto, tra Cassazione e giudizio della Corte costituzionale. Senza contare come, per ora, non abbia riscosso grande seguito: “Le firme raccolte? Sotto le 10mila“, ammettono dal comitato, accusando il Pd di delegittimare l’iniziativa e lo scarso interesse dei media.

Di certo, i promotori puntano a riaprire il dibattito sui diritti civili, quattro mesi dopo quel voto con cui il centrodestra affossò, tra esultanze da stadio, il ddl Zan contro l’omolesbobitransfobia, dopo le giravolte renziane. “Era un compromesso, discriminatorio all’art.4 (la ‘clausola salva idee’, frutto della mediazione con il centrodestra) e all’art. 7, che ostacolava la formazione nelle scuole. Ma è stato comunque impallinato tra gli applausi. Noi vogliamo bypassare questa maggioranza trasversale che ci discrimina. E parificare i diritti”, attacca Marrazzo. Perché, al momento, non si può adottare il figlio del partner (la “stepchild adoption”, nel 2016 stralciata tra numeri insufficienti, l’accordo saltato tra Pd e M5s e le mediazioni al ribasso nella maggioranza che sosteneva il governo Renzi), “né si riconosce il legame di genitorialità con i figli nati con procreazione medicalmente assistita”. Spesso la magistratura ha fatto le veci della politica: è stata la Cassazione a dare il via libera al riconoscimento dei bambini adottati all’estero da coppie gay (con l’esclusione della gestazione per altri).

L’obiettivo del Comitato, nell’anno pre elettorale, è costringere i partiti a confrontarsi sul matrimonio egualitario, assente dai programmi. Sarà un’impresa. Non solo per il silenzio o quasi di media e partiti, al di là del sostegno di pochi parlamentari, come il dem Tommaso Cerno, il forzista ‘eretico’ Elio Vito, le senatrici Alessandra Maiorino (M5s) e Barbara Masini (Azione).

C’è da fare i conti con le norme. In Italia il referendum, previsto dall’art.75 della Costituzione, non è propositivo: si può solo abrogare, in modo totale o parziale, una legge o un atto avente valore di legge. È poi la legge 352 del 25 maggio 1970 a definire come si attua: l’art. 31 spiega che non si può depositare una richiesta di referendum «nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali». L’attuale legislatura scadrà il 23 marzo 2023. Da allora, a meno di un ritorno anticipato al voto, si procederà con le nuove elezioni, entro 70 giorni. È quindi impossibile nel 2022 depositare firme e proposte di referendum? Entra in gioco l’interpretazione di «anno anteriore»: va considerato tutto il 2022 o solo i 365 giorni prima della scadenza delle Camere? È l’ordinanza del 23 ottobre 1992 dell’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione a sciogliere i dubbi: va inteso l’intero anno. Un ostacolo con il quale aveva dovuto fare i conti già Matteo Renzi, leader di Italia Viva, quando lanciò la boutade estiva della raccolta firme per il referendum contro il reddito di cittadinanza, poi finita in un flop.

Ma i promotori di ‘Sì matrimonio egualitario’ non sono d’accordo: “La legge è scritta male”, insiste Marrazzo, convinto di poter raccogliere 500mila sottoscrizioni e depositarle entro il 22 marzo. Nodi giuridici terminati? Neanche a parlarne. Perché il referendum si dovrebbe svolgere poi “tra il 15 aprile e il 15 giugno2023, in concomitanza con le future elezioni Politiche. Una possibilità vietata dalla stessa ordinanza di Cassazione. Servirebbe una deroga: “C’è un precedente nel 1987, sul nucleare“, rivendicano i promotori. Fu approvata dal governo Goria, che permise il voto l’8 novembre, dopo le Politiche di giugno. Ma con Lega e FI contrarie al matrimonio egualitario, oggi sembra utopia: “E gli esponenti Pd in Consiglio dei ministri? Voterebbero per la deroga?”, provoca Marrazzo, accusando il Nazareno, “diviso”, di aver “silenziato” l’iniziativa.

Che la strada sia in salita lo ammette l’azzurro Vito: “Nodi giuridici e di ammissibilità? Evidenti, come i limiti dello strumento. Ma non può essere una ragione per fermarsi. Raccogliamo le firme, ci sarà tempo per lavorare su deroga e interpretazioni. E non escludo si torni prima al voto”. In casa M5s, nel silenzio dei vertici, è la senatrice Alessandra Maiorino a parlare di “sveglia per la politica”. Pesa però il silenzio dal Nazareno. “Un bluff, non è un matrimonio egualitario“, ha stroncato l’iniziativa la responsabile diritti Pd Monica Cirinnà, intercettata dai promotori. Contattata dal Fattoquotidiano.it, non ha voluto aggiungere altro. Ma il suo ufficio stampa ha ricordato come abbia “depositato a inizio legislatura un ddl sul matrimonio egualitario“: “Sarà convocato nelle prossime settimane un tavolo delle associazioni LGBT+ iscritte all’Unar, compresa quella di Marrazzo. Poi sarà scelta la linea”.

Il Pd temporeggia, ricorda il lavoro nelle Agorà democratiche per “inserire matrimonio egualitario e legge contro i crimini d’odio nel programma”. Una strategia che, dati i tempi non brevi, finisce per archiviare l’ipotesi referendum. Lanciato, fanno filtrare fonti interne, “da un’organizzazione non rappresentativa“. Resta Cerno l’unico dem a sostenerlo, mentre Giuditta Pini guarda oltre: “Mi dicono che il Pd sia l’unico di centrosinistra in Europa a non avere il matrimonio egualitario nel programma. Gli altri ce l’hanno o lo hanno già approvato. Vorrei rispondere, presto, che non è così”.

Se dal Pd il sostegno manca, anche tra le associazioni arcobaleno il referendum divide. C’è chi lo sostiene, pur senza aiuti sulle firme. Ma anche chi teme un effetto boomerang o “un pastrocchio giuridico“. “È un’iniziativa di un partito isolato”, premette Rosario Coco, segretario di Gaynet: “Ciò che muove il dibattito può avere senso, ma è prioritario sensibilizzare per una radicale riforma del diritto di famiglia. Il riconoscimento del matrimonio è solo uno dei nostri obiettivi, servono tutele per i figli delle coppie omogenitoriali”. Per Arcigay, che “segue con interesse”, la proposta è “frutto della sfiducia sulle risposte legislative”. “Spero stimoli Pd e M5s a inserire il matrimonio egualitario nei programmi. Perplessità tra le associazioni? Credo sul quesito e sui tempi”, spiega il segretario Gabriele Piazzoni. Ma è la strada giusta? “Chiedere a una maggioranza di esprimersi sui diritti di una minoranza può essere un’arma a doppio taglio. Ma è pure ridicolo pensare a leggi di iniziativa popolare, come proposto dal Pd”.

La proposta di Marrazzo è invece “pericolosa” per Fabrizio Gimelli, presidente di Agedo: “A parte che i due istituti, pur molto vicini, resterebbero differenti dal punto di vista giuridico. Non si può andare a colpi di referendum sui diritti. Si rischia una battaglia sfiancante per nulla: basta che Lega e FdI invitino a non votare per non raggiungere il quorum. E se si perde può passare l’idea che sia l’Italia a non volere il matrimonio egualitario, quando non è così”. Sarebbe la “parola fine” a qualsiasi tentativo parlamentare futuro. Altri ancora temono il “rischio enorme di bocciatura della Consulta”. Per la raccolta firme il destino sembra così segnato. Se ne riparlerà in Aula, forse, nella prossima legislatura. Come per una legge contro l’omotransfobia: “Da questo Parlamento non si ricava più nulla, le leggine non servono”, avverte Gimelli. “I numeri sono quelli. E un’ulteriore mediazione al ribasso sarebbe dannosa”, fa eco Arcigay. Bisognerà aspettare. Nell’attesa che, programmi alla mano, dall’arco progressista si batta un colpo. E non si sventoli soltanto una bandiera, magari in vista del prossimo turno elettorale.