Com’è quel detto che ogni tanto rispunta fuori sui social? “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”. Ecco, questa frase qui, che tra parentesi viene attribuita ad un filosofo diverso ogni volta, si applica benissimo ai docenti immersi nel periodo dei concorsi. Ogni docente precario che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Non è una battaglia, piuttosto è un concorso ordinario, ma che non se ne sappia nulla è vero. Ci sono solo due categorie di persone che sanno come funzionano i concorsi scolastici in corso: quelli che li hanno progettati, architettati, calendarizzati, e devono averlo fatto dopo aver assunto sostanze allucinogene, oppure quelli che li stanno sostenendo e li riconosci dallo sguardo, allucinogeno anch’esso.

Tutti gli altri dovrebbero avere la gentilezza di non infierire. E invece il concorso docenti, ho appreso nel tempo, è un po’ come il parto. La gente non aspetta altro che tu sia nell’imminenza dell’evento per raccontarti il suo. E non ti dice mai “tranquilla, vai serena, tocca a tutti, è affrontabile”, no, deve indugiare nel racconto di un travaglio di trentasei ore, cordoni ombelicali attorcigliati come il tubo per irrigare l’acqua, di sofferenze di inusitata intensità.

Con il concorso, uguale. Tutti a raccontarti il loro, che era “serio, quello sì”, dove “bisognava studiare, allora sì” e dove “non bastava mettere due crocette come adesso”. Un manipolo di laudatores temporis acti. “Sai cosa mi hanno chiesto, al concorso?” ti incalzano i geronto colleghi e tu no, che non lo sai, ma soprattutto non ti interessa, perché le regole per accedere a questo vituperato lavoro sono cambiate così tante volte negli ultimi anni che è statisticamente impossibile che due persone abbiano svolto un concorso nella stessa maniera.

E poi ti offrono i consigli. “Concentrati sulle cose essenziali”. Certo, grazie, poi magari la tua classe di concorso è storia, dove il programma va dal Big Bang all’invasione dell’Ucraina e chissà quali sono le cose essenziali. Oppure raccontano storie dell’orrore: “Sai, avevo un collega bravissimo, i ragazzi lo adoravano, preparatissimo, che però al concorso ha avuto un blocco, panico, pagina bianca, non se ne è più saputo niente, che ci vuoi fare a volte succede, ma a te non capita, tranquillo, dicevo per dire”. Oppure fanno i polemici “ma ancora il concorso devi fare? ma alla tua età?” e ti guardano stupiti manco avessi ordinato un cono al puffo.

Infine ci sono quelli che sanno. “Sai come bisognerebbe selezionarli, gli insegnanti?” iniziano, e poi ti spiegano nel dettaglio perché non vanno bene le crocette, che è nozionismo, non vanno bene le domande aperte, perché non sai chi le corregge come le interpreta, e comunque il tempo per rispondere era poco; non vanno bene le lezioni simulate, perché è in classe che si vede il lavoro di un docente, non va bene niente, l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.

E allora, visto che ogni collega che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente, sia essa il concorso o il relazionarsi con il resto del corpo docente, sii gentile, sempre. E se proprio vuoi offrirgli qualcosa, offrigli da bere.

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