Dalle siderurgia alle lavorazioni meccaniche, fino a termomeccanica, aeronautica, industria dell’elettrodomestico e automotive. Tra aumento del costo dell’energia, difficoltà di approvvigionamento di materie prime e semilavorati e interruzione delle commesse, l‘invasione russa dell’Ucraina sta avendo pesanti ricadute su diversi comparti industriali italiani. La Fim Cisl la scorsa settimana ha fatto una ricognizione, individuando decine di aziende che stanno rallentando o fermando le attività, per un totale di oltre 26mila lavoratori coinvolti. Resta da vedere se la boccata di ossigeno sui costi energetici in arrivo con il decreto varato dal governo Draghi venerdì scorso sarà sufficiente, insieme agli annunciati – ma non ancora adottati – “provvedimenti per migliorare la capacità di Ilva di produrre acciaio” per rifornire le imprese nazionali. Confindustria a caldo ha definito il testo “deludente” e lunedì i presidenti di Confindustria Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte hanno espresso “profonda insoddisfazione e preoccupazione“.

La siderurgia è al primo posto: l’80% della produzione di acciaio italiano, ovvero 24 milioni di tonnellate, ricorda Fim Cisl, provengono da forni elettrici, e se sommiamo l’aumento dell’energia a quello delle materie prime (ghisa, rottame ferroso) e semilavorati (billette, bramme) siamo davanti a “una tempesta perfetta che ha ricadute pesanti non solo sul comparto siderurgico ma su tutta la produzione industriale”. Quasi tutti gli impianti stanno attuando fermi della produzione o stop and go. Il gruppo Acciaierie Venete di Borgo Valsugana (Trento) ha chiesto per esempio la cigo per 4 settimane per aumento del costo dell’energia e il blocco delle materie prime da Russia e Ucraina (cromo e nickel). Cig anche all’acciaieria Abs di Cargnacco (Gruppo Danieli) e, sempre in Friuli, alle acciaierie Bertoli e nel gruppo Pittini che procede da settimane in modalità stop & go in base ai costi dell’energia. A Sestri Levante la Arvedi, 250 dipendenti, è in difficoltà per aumento del costo del nickel che ha comportato il blocco della produzione dell’inox a livello di acciaieria. La San Giorgio acciaierie di San Giorgio di Nogaro, 1500 dipendenti, lavorava con bramme importate da Mariupol: ora lavora con quelle in magazzino ma ha scorte per un mese circa.

Altre segnalazioni riguardano l’umbra Tifast Titanium, che fa capo a un gruppo ucraino produttore di barre, vergelle e billette di titanio – la spugna di titanio, materia prima principale, arrivava per la gran parte dall’Ucraina – e la Ferriera Valsider a Vallese di Oppeano (Verona) del gruppo Metinvest Intrametal, che ha la casa madre in Ucraina e dipende dalla Russia per l’arrivo di materie prime (bramme). Anche le Acciaierie di Sicilia rischiano il fermo per carenza di rottame.

La filiera dell’auto, già in fase di ristrutturazione per la transizione ecologica, a causa dell’interruzione di forniture provenienti dall’Ucraina sta subendo impatti diretti. La Automotive Lighting di Tolmezzo, che produce fanali per auto, ha chiesto la cig per oltre 800 lavoratori a causa della carenza di forniture dall’ucraina Leoni, che fa cablaggi per automotive e ha due stabilimenti nelle città ucraine di Stryji e Kolomyja. Anche Lamborghini a Sant’Agata Bolognese (Bologna) ha dovuto fermare la linea produttiva della Huracàn a causa della mancanza di cablaggi della Leoni.

La Whirlpool ha chiesto cassa integrazione nei siti marchigiani e a Siena, parlando di cali delle commesse e aumento dei trasporti e costi dei container. Ferme poi molte aziende che producono macchinari per le lavorazioni di pietra, ferro, legno o fanno impiantistica industriale e avevano in corso lavori e commesse verso Russia e nell’Est Europa. La ricognizione della Fim Cisl comprende tra le altre la riminese Scm Group, produttrice di macchine utensili che doveva inaugurare un nuovo stabilimento a Mosca e aveva 35 milioni di ordini tra Russia e Ucraina per quest’anno, la Pm di Salzano che ha fatto rientrare il personale dalla Russia dove stava installando impianti e la Petrollo spa di San Bonifacio (Verona), specializzata in elettropompe, con diverse commesse in Russia su impianti industriali.

Ad Arezzo infine diverse piccole e medie aziende del distretto dell’oreficeria hanno chiesto la cassa integrazione a causa delle oscillazioni del prezzo dell’oro e blocco dell’export con la Russia.

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