Commentando le parole di Zelensky, il leader del Carroccio non ha perso occasione per condannare l'utilizzo della violenza. Sui social, però, ricompaiono le sue foto mentre imbraccia fucili di ogni tipo. E della sue esperienza da vicepremier nel governo gialloverde si ricordano due precedenti che vanno nella direzione diametralmente opposto, ovvero in favore di pistole e armi
“Quando sento parlare di armi non sono mai felice”. Parola di Matteo Salvini al termine dell’intervento di Zelensky a Montecitorio, parlando della guerra in Ucraina. Un’uscita, quella del segretario federale della Lega, che ha provocato una serie di reazioni, specie sui social. Qui un esercito di commentatori ha ricordato all’ex vicepremier il suo passato, postando una miriade di foto mentre imbraccia armi di ogni tipo. Certo, può capitare che un ex ministro dell’Interno per motivi istituzionali abbia presenziato ad appuntamenti in cui le armi sono d’obbligo; diverso però il discorso quando si parla delle sue dichiarazioni e dei provvedimenti politici del partito da lui guidato, da sempre considerato molto vicino al mondo degli armatori.
Salvini: “Quando si parla di armi non sono mai felice”
Giuro, lo ha detto
Agevolo un Salvini triste e a disagio pic.twitter.com/JFAb7CONi4— The Dark Side of the Moon (@Sydwerehere) March 22, 2022
Con ordine, a iniziare da ciò che Salvini aveva detto appena qualche settimana fa. Il 28 febbraio scorso, ad esempio, il leader del Carroccio si era messo di traverso all’invio di armi all’Ucraina da parte del governo italiano. “L’Italia non fornisca strumenti letali” aveva detto, coerentemente a quanto dichiarato oggi dopo l’intervento di Zelensky alla Camera. Poi però, a distanza di qualche ora, il leghista aveva radicalmente cambiato versione, allineandosi al governo e votando a favore della mozione che armava Kiev di materiale bellico anche italiano. La giustificazione di Salvini? “Ogni strumento utile a fermare l’aggressione russa”. E fin qui la giravolta potrebbe anche rientrare nella normale dialettica politica. Diverso, però, quanto accaduto qualche anno fa.
Il riferimento non è al caso dell’assessore leghista che nel 2021 uccise una persona a Voghera. Certo, in quella occasione Salvini giustificò il fatto che il suo collega di partito fosse armato sottolineando che secondo lui “se uno ha il porto d’armi come accade a 1,3 milioni di italiani certificati da questura e prefettura, sì, è normale andare in giro con un’arma”. E non si tratta neanche di ricordare le battaglie della Lega per giustificare coloro che hanno ucciso ladri e scassinatori raccontando che la “difesa è sempre legittima“. In tal caso, però, va ricordato quanto disse lo stesso Salvini dopo un caso del genere: era il giugno del 2021, dopo l’ennesimo morte per eccesso di legittima difesa, Enrico Letta propose una stretta alla legge sulla concessione di armi e porto d’armi. E Salvini non perse l’occasione: “L’Italia è uno dei paesi con le regole più restrittive sulla concessione delle licenze per le armi”, parole che gli valsero l’accusa di strizzare l’occhio alla lobby delle armi. Nuovamente.
E sì, perché c’era un precedente di peso. Era il marzo del 2019, esattamente tre anni fa. Matteo Salvini era vicepremier del governo gialloverde e la sua Lega presentò una proposta di legge per rendere più facile l’acquisto di armi per la difesa personale: l’intenzione era quella di aumentare da 7,5 a 15 joule il parametro che differenzia le armi comuni da sparo da quelle per le quali non è necessario il porto d’armi. Insomma, un tentativo (il testo non è mari arrivato in aula) di allargare le maglie della legge. “Non voglio in giro mezza pistola in più” disse Salvini. Una giustificazione che non placò le polemiche. Per molti era l’ennesimo assist agli interessi dei produttori di armi. Anche in questo caso c’era un altro precedente, sempre con Salvini protagonista.
Era il luglio 2018 e su Repubblica uscì la notizia di un “contratto” fra il leader della Lega e un’associazione che difende gli interessi dei “detentori legali di armi“, il Comitato D-477 (che confermò tutto). In pratica a febbraio di 4 anni fa, in piena campagna elettorale, Salvini ha sottoscritto un documento con il quale ha preso un “impegno pubblico in difesa dei tiratori sportivi, dei cacciatori e dei collezionisti di armi”. L’occasione è stata la fiera “HIT Show a Vicenza” , dove l’impegno è stato condiviso anche da Sergio Berlato e Maria Cristina Caretta (entrambi candidati all’epoca per Fratelli d’Italia). Il Comitato D-477 rivendicò la propria identità “assolutamente apartitica” e dunque sul proprio sito spiegò di mettere il documento a disposizione di tutte le forze politiche. La Lega ne approfittò. Non è dato sapere se all’epoca Salvini, sentendo parlare di armi, era felice.