Perché al presidente russo Vladimir Putin serve l’appoggio del Patriarcato ortodosso di Mosca? È una domanda chiave anche per capire l’evoluzione della guerra in Ucraina e il rapporto di forze tra il Patriarca Kirill e il Cremlino. Nella propaganda di Putin, infatti, la dimensione religiosa ha sempre avuto un posto fondamentale. Lo si è visto anche recentemente quando ha citato un versetto del Vangelo di Giovanni per celebrare l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea alla Russia: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Parole che, seppure indirettamente, hanno trovato la condanna di Papa Francesco che ha bollato come “sacrilego” quello che sta avvenendo in Ucraina “perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata, e che viene prima di qualsiasi strategia! Non dimentichiamo: è una crudeltà, disumana e sacrilega”.
Per monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di fama mondiale, il riferimento di Putin al Vangelo “è un’autentica bestemmia”. Secondo il presule “è una strumentalizzazione del Vangelo finalizzata a una autogiustificazione. Mostra tutta la debolezza profonda di Putin che non riesce più a trovare argomenti per giustificare questa follia di una aggressione ingiustificata e totalmente immorale. È certamente un atto sacrilego citare in questo modo il Vangelo e questo aggiunge alle gravissime colpe di cui si sta macchiando quella di una autentica bestemmia: usare Dio per giustificare il male compiuto tocca il vertice dell’immoralità e perfino della follia”. Linea condivisa dal gesuita padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, che ha sottolineato come “la politica non deve usurpare il linguaggio di Gesù per giustificare l’odio. La retorica religiosa del potere e della violenza è blasfema”.
Una posizione ribadita da Bergoglio a Kirill dopo la sua benedizione della guerra in Ucraina: “La Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo che crede in Dio, nella Santissima Trinità, nella Santa Madre di Dio: per questo dobbiamo unirci nello sforzo di aiutare la pace, di aiutare chi soffre, di cercare vie di pace, per fermare il fuoco”. Parole che ovviamente possono essere lette anche in modo inverso, ovvero che la politica non deve usare, o per meglio dire strumentalizzare, il linguaggio di Gesù.
Prima della guerra, Kirill aveva dichiarato che “l’Ucraina non è alla periferia della nostra Chiesa. Noi chiamiamo Kiev la madre di tutte le città russe. Kiev è la nostra Gerusalemme. L’ortodossia russa comincia da lì. È per noi impossibile abbandonare questa relazione storica e spirituale. Gli interessi dello Stato diventano gli interessi della Chiesa e viceversa. La Chiesa ortodossa gioca un ruolo capitale nella propaganda dell’idea nazionale: essa è considerata come una istituzione dello Stato. Se non è costituzionalmente la religione ufficiale, essa può comunque ricevere finanziamenti pubblici e anche partecipare alle attività diplomatiche del Paese”. Affermazioni fatte dopo lo scisma tra la Chiesa ortodossa russa e quella ucraina. Ugualmente significative sono state le dichiarazioni di Kirill all’inizio del conflitto: “Il Signore protegga dalla guerra fratricida i popoli che fanno parte di un medesimo spazio, quello della Chiesa ortodossa russa. Una terra di cui fanno oggi parte la Russia, l’Ucraina, la Bielorussia, altre tribù e altri popoli”. Una vera e propria rivendicazione che coincide totalmente con il pensiero di Putin e con una delle sue principali giustificazioni del conflitto in atto.
Nel volume Dio? In fondo a destra (Emi), con un sottotitolo altrettanto eloquente (Perché i populismi sfruttano il cristianesimo), Iacopo Scaramuzzi, vaticanista di Askanews, spiega che “la collaborazione tra il Cremlino e il Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, nel passato come nel presente, è palindroma, può essere letta in entrambe le direzioni. Allo Zar serve il Patriarca, al Patriarca serve lo Zar. Difficile dire chi prevale, chi usa chi, chi avrà l’ultima parola. Putin è un laico non ideologico, che usa l’ideologia per svolgere il suo ruolo. E quindi sa usare anche la religione. Kirill vuole diventare il leader spirituale non solo della Russia, ma dell’intero mondo ortodosso, e magari dell’intero pianeta. Le differenze, però, finiscono qui, e iniziano le sovrapposizioni. Non solo perché Putin è stato il capo del Kgb e Kirill, gli esperti lo danno per scontato, ne è stato, per così dire, informatore. Quello più pragmatico e politico e quello più pastorale e spirituale non sono due partiti contrapposti, sono due varianti dell’unica ideologia e quindi si intrecciano facilmente”. E aggiunge: “Tanto Putin quanto Kirill sono impegnati nella riscoperta dei valori tradizionali e nella crociata anti-gay in patria, all’estero l’uno come l’altro incarnano due varianti dell’espansionismo russo: Kirill era contro l’annessione della Crimea, Putin era contro la rottura con Costantinopoli”.
C’è un’immagine emblematica di questo collateralismo. Nel 2016, durante l’incontro di Cuba, Kirill chiese al Papa di poter avere in Russia per un breve periodo una reliquia del patrono di Bari, San Nicola. Francesco accolse subito il desiderio del Patriarca e l’anno successivo, per poco più di due mesi, un frammento della costola sinistra del santo fu portato a Mosca e a San Pietroburgo dove fu venerato da quasi due milioni e mezzo di fedeli, principalmente ortodossi, tra quali lo stesso Putin che baciò la reliquia. “Quest’evento – affermò Putin – è divenuto possibile grazie a un accordo raggiunto in un incontro tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco. È un grande evento per i fedeli ortodossi. Siamo grati a Papa Francesco e alla Santa Sede per la decisione che hanno preso su richiesta del Patriarca”. La testimonianza eloquente di un sostegno reciproco che dura tuttora.