Sono trascorsi cinque anni dall’attentato di Westminster Bridge il 22 marzo 2017, durante il quale morirono sei persone e ne rimasero ferite circa cinquanta. Ogni mattina quando entro nell’ufficio dove lavoro a Westminster, passo davanti ad una una targa commemorativa del poliziotto PC Keith Palmer, ucciso a coltellate quel giorno quando Khalid Masood ha cercato di entrare nel palazzo di Westminster. Ogni mattina quando vado verso l’ufficio dove lavoro nel Parlamento, mi viene in mente il sacrificio di quel poliziotto che non era armato ma si era coraggiosamente messo davanti a Masood a difesa di chi lavorava lì dentro.
L’attentato durò soltanto 82 secondi. L’aggressore, Khalid Masood, era un uomo che non era conosciuto dalla polizia come un terrorista, ma aveva passato tempo in galera per alcune aggressioni con un coltello. In galera, ha cambiato la sua identità e si convertì all’Islam; in seguito ha insegnato inglese in Arabia Saudita. Ha trascorso la notte prima dell’attentato in un hotel a Brighton. Il giorno prima dell’attentato, un cameriere dell’hotel ha dichiarato che rideva e scherzava. Poi è partito per Londra su una macchina a noleggio. Questa volta, la macchina sarebbe stata la sua arma principale.
Ho parlato con un testimone oculare, George (pseudonimo usato su sua richiesta), che stava lavorando in parlamento quel giorno. Dalla finestra del suo ufficio si vede sia il ponte sia il punto d’entrata delle macchine nel parcheggio sotto il Parlamento, dove il poliziotto è stato ucciso a coltellate, e anche il ponte di Westminster. Da una finestra, George ha sentito urla e ha visto che una macchina, la macchina che Masood aveva affittato, era andata a sbattere contro il cancello che separa il palazzo di Westminster dal marciapiede. C’erano poliziotti dappertutto, sangue per terra. E dall’altra, ha visto un infermiere correre sul ponte dall’ospedale di Guys e St Thomas dall’altra parte del fiume, verso tantissime persone sulla strada che erano immobili. Era la seconda volta che assisteva ad un attentato: la prima era al Globe Theatre per una gita quando aveva dodici anni, il 7 luglio 2007, quando i terroristi fecero esplodere bombe su metropolitane e autobus. A quel punto, sentiva nel suo cuore che era successo qualcosa di molto grave: forse non era ancora finita. Lui e un collega hanno chiuso l’ufficio a chiave e lui ha scritto un messaggio a sua madre, dicendole che era al sicuro.
A quel punto, Masood aveva già ammazzato cinque persone. È rimasto ucciso dal bodyguard di un politico, che lo ha ucciso per difesa quando ha visto che Masood, dopo aver ucciso Keith Palmer, correva verso il palazzo per continuare la sua carneficina. Siccome Masood è morto sul posto, non si sa se avesse collaborato con qualcuno per intraprendere l’attacco terroristico. Aveva scritto un messaggio indicando che voleva commettere un atto per la Jihad, una vendetta contro le campagne militari inglesi nel Medio Oriente. Però la polizia crede che Masood fosse un lupo solitario. Le sue armi erano una macchina e un coltello.
Purtroppo, l’attentato di Westminster Bridge non è l’ultimo attacco terroristico che ha colpito Londra. Nel 2017 c’è stato un attentato al Mercato di Borough vicino London Bridge, dove tre aggressori hanno ucciso sette persone a coltellate. Nello stesso anno Darren Osborne si è schiantato con la sua auto contro la moschea di Finsbury Park, ferendo diverse persone e uccidendone una. Nel 2019 un altro aggressore, Usuman Khan, ha ucciso due persone tornando da una cerimonia sul London Bridge a coltellate. E per la classe politica, il rischio di questi attentati rimane sempre alto. Nel 2016 abbiamo assistito all’omicidio di Jo Cox da parte di un estremista di destra fuori da una biblioteca. E l’anno scorso è stato ucciso il deputato conservatore Sir David Amess mentre stava lavorando nella comunità.
Lavorando nell’ufficio di una deputata, conosco bene il linguaggio di violenza e di noncuranza. C’è sempre qualcuno che scrive cose offensive verso la deputata tramite mail, o su Twitter o Facebook – purtroppo questo genere di abuso tramite internet, una forma di abuso dove la persona resta nascosta dietro uno schermo, senza volto e senza responsabilità, è molto comune verso i politici. Diversi studi rivelano come l’hate speech sulle reti sociali può spingere alla violenza reale contro i suoi bersagli. In Germania uno studio ha provato che commenti contro i profughi su Facebook portano a più violenza reale contro i profughi. E l’assalto al Campidoglio l’anno precedente ha mostrato a tutto il mondo il prezzo del trascurare l’hate speech e il linguaggio anti democratico.
Infine George mi ha detto che l’attentato di Westminster Bridge gli ricorda che qualsiasi persona che lavora nel palazzo di Westminster, dai politici ai cuochi nelle mense, sono sempre vulnerabili. L’attentato a Westminster Bridge ricorda ai londinesi che il linguaggio della violenza ha potere, e se non la affrontiamo possiamo perdere persone care, solo perché semplicemente si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.