di Davide Simone, giornalista, consulente di comunicazione e storiografo, Francesca Capelli, scrittrice, sociologa, ricercatrice, Sara Gandini, epidemiologa e biostatistica
Quando i media sottolineano con enfasi che la Russia ha colpito una base nemica a pochi chilometri dal confine polacco, quando parlano di attacco alle porte dell’Europa e della Nato, quando un giornale come Repubblica scrive: “Ucraina, attacco a Ovest. Mosca porta la guerra al confine della Nato”, lo scopo è forse alzare il livello della tensione (per motivi politici o per “fare cassetta”), sottoponendo l’opinione pubblica a una pressione sempre maggiore, facendole addirittura pensare al rischio di una terza guerra mondiale, all’olocausto termonucleare. Si parte cioè da una notizia vera, e in questo caso di per sé poco rilevante (in guerra è logico e normale attaccare le basi nemiche, indipendentemente dalle loro coordinate), ma se ne altera, con destrezza e in modo orchestrato, la forma.
Sono a nostro avviso esempi di “mala-informazione” o, a seconda delle interpretazioni, di propaganda “grigia”, purtroppo sperimentato nei due anni di pandemia-sindemia.
L’infodemia spettacolaristica e distorsiva, l’infotainment nella sua declinazione più disturbante, paiono insomma tornati. Anzi, non hanno mai concesso tregue, solo cambiato argomenti. Possiamo addirittura parlare di edu-infotainment, perché queste notizie, oltre a creare nello spettatore una dipendenza malsana da quello che diventa un vero e proprio “genere” (inteso come dispositivo che permette l’autopòiesis del discorso), hanno anche un obiettivo pedagogico: disciplinare, ridurre al silenzio chi fa domande, umiliare le voci eterodosse. Come pure sembra tornare la polarizzazione, il rifiuto di ascoltare le ragioni dell’altro con pazienza, senza trascendere e demonizzare, senza affibbiare etichette. Senza urlare.
Ed essere dalla parte degli ucraini, in questo frangente, non è sufficiente. Bisogna rinunciare all’equilibrio e alla razionalità analitica, per non essere accusati di alto tradimento e di essere personalmente responsabili delle nefandezze della guerra. Se due anni fa abbiamo creduto che la Sars-Cov-2 potesse contagiarci attraverso l’aerosol creato dallo sciacquone del water, oggi crediamo che un missile russo possa entrare in una casa ucraina facendo solo un buco nel soffitto e conficcarsi direttamente in quello stesso water senza esplodere e senza radere al suolo l’isolato.
Nel frattempo, in questi due anni, la gamma di quelle che vengono indicate come “bufale” si è allargata. Le fake news, le informazioni non-vere o solo parzialmente vere, sono un universo composito e vastissimo. Strumenti concepiti, sviluppati e veicolati da e attraverso modalità spesso diverse, tanto da rendere obbligatoria una classificazione molto più articolata e specifica. Prima di tutto afferiscono a campi diversi: c’è la mis-informazione (costruita dai singoli, involontariamente o con superficialità, magari per rispondere a bisogni inconsci o bias cognitivi); la mala-informazione (la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, anche reali, a opera delle istituzioni, che cercano in questo modo di recuperare consenso e popolarità); la disinformazione (il trarre in inganno deliberatamente, creando una realtà alternativa e fittizia).
Andando ancor più nello specifico, le tre variabili sono a loro volta legate a:
1) Una manifestazione psicologica e cognitiva, che investe i nostri modi di creare conoscenza e dare significato al mondo, con le ansie conseguenti;
2) Una dinamica di conoscenza sociale, che tocca i modi di creare comunità o distruggere sodalizi organizzati, con le richieste di riconoscimento derivanti;
3) Una scelta politica e militare, che implica opzioni specifiche nell’applicazione del potere, nella ricerca di interessi, nell’uso o meno della forza.
Per propaganda “grigia” si intende invece la propaganda che veicola informazioni parzialmente false, mentre la propaganda “bianca” veicola informazioni totalmente vere e la propaganda “nera” veicola informazioni totalmente false. Come difenderci? L’unica strada è non rinunciare all’esercizio critico del pensiero che, come ci ricorda Hannah Arendt, non ha a che vedere con l’accumulazione di conoscenze ma con la capacità di distinguere il bene dal male.