È stato assolto anche in appello perché incapace di intendere e volere. Un vizio di mente in quanto affetto dalla patologia del delirio di gelosia. Antonio Gozzini, 81 anni, era imputato per aver ucciso la moglie Cristina Maioli. Il sostituto procuratore generale, Guido Rispoli, aveva chiesto la condanna a 21 anni ritenendo Gozzini l’anziano capace di intendere e volere. “La sua gelosia patologica – aveva detto in aula – non era mai emersa prima dell’omicidio. Se n’è parlato solo a posteriori solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità”. Il magistrato l’aula della corte d’Assise d’appello di Brescia ha detto: “Leggeremo le motivazioni”.

Giudicato incapace di intendere e di volere a causa del vizio totale di mente l’uomo era stato assolto in primo grado dalla Corte d’assise di Brescia. Che aveva anche accolto la tesi difensiva che fosse “affetto dalla patologia del delirio di gelosia”. Il verdetto aveva suscitato una polemica che aveva spinto l’allora ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, a disporre accertamenti. Il pm aveva chiesto l’ergastolo e aveva poi appellato il verdetto.

Ex assistente tecnico scolastico, in cura per depressione, l’uomo stordì la moglie nel sonno con un colpo di mattarello in testa e poi l’accoltellò. Il cadavere della donna era stato poi vegliato per ore dal marito, che avrebbe anche tentato il suicidio, prima di essere salvato da un amico al quale aveva telefonato dopo il delitto. In primo grado il consulente dell’accusa e quello della difesa erano stati d’accordo nel dire che l’uomo “era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida”. E dunque la difesa dell’uomo, rappresentata dall’avvocato Jacopo Barzellotti, aveva chiesto l’assoluzione, ritenendo incapace di intendere e volere Gozzini al momento dell’omicidio. Incapacità riconosciuta anche in secondo grado.

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