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Gianna Nannini: “Ho combattuto il lockdown col vino, ora sono ascetica come una suora. Perdo chili che è una meraviglia”

È una Gianna Nannini più energica che mai quella che si racconta in un'intervista a Repubblica alla vigilia del debutto con il suo nuovo tour elettrico e acustico nei teatri d'Italia, al via il primo aprile al Regio di Parma

“Mi sto preparando come un’atleta e sono ascetica come una suora, perdo chili che è una meraviglia“. È una Gianna Nannini più energica che mai quella che si racconta in un’intervista a Repubblica alla vigilia del debutto con il suo nuovo tour elettrico e acustico nei teatri d’Italia, al via il primo aprile al Regio di Parma. “Non pensavano che io fossi brava ma solo rock, perché la mia voce aveva troppi graffi. Ci ho lavorato tanto, e ancora non ho smesso”, confida la cantante. “Lo sa che io sogno di suonare alla Scala? Ma lì non ci prendono… Certo, il Regio di Parma è un tempio della lirica, sento molto la responsabilità. Essere rock è avere sentimenti, non è trasgressione per forza, non è droga. La mia unica dipendenza è la musica, mia religione e preghiera. Rock è mischiare la voce con la band quando ogni cellula del corpo si ricrea: a me è successo. Non lo dica a nessuno, ma sono nata nel 1983“.

Quindi una riflessione su questi due anni di pandemia, in cui, racconta Nannini, “ho combattuto il lockdown con il vino, bianco di giorno e rosso di sera, è un antidepressivo, ora ho smesso per dovere: la dieta prima dei concerti non lo ammette. Sono tirata a lucido, lo sport mi svuota la mente: bisogna allenarsi anche per restare immobili, per liberare l’energia del pensare a nulla. Dei salti non m’importa più niente. Per me conta la melodia larga, lunga e ciclica con i suoi giri, il bel canto all’italiana che diventa rock. Un urlo organizzato”. Come vede i prossimi mesi? “Il futuro è riabituarsi alla ritualità della musica, al disordine temporaneo che il rock pretende quando ti fa uscire da te stesso. Il futuro è euforia, voglia di vivere, è ricerca, è curiosità. E il rock è sempre senza mascherina. La musica è creatività collettiva, è una band che si riunisce”.

Infine, una confidenza: “Io volevo essere Josephine Baker o Otis Redding ma non lo ero, in fondo tutto nasce dal disagio del corpo. E volevo vendicare Janis Joplin, liberandomi dalla schiavitù del business musicale. Ora vorrei cantare con i Nirvana e vorrei la lentezza che non ho, però l’agitazione e il rischio in apparenza inutile producono vita, sono immersioni nell’ignoto: io infatti mi infortuno sempre come una scema, l’ultima volta sugli sci. Ma sono fatta così, mi scoppia un’idea dietro l’altra, lotto con l’incidente e l’ostacolo mi migliora”.