“Ho visto mio figlio Julian Assange pochi giorni fa, nel carcere di Belmarsh, nel giorno del suo matrimonio con Stella Moris. Dopo oltre un decennio di detenzione arbitraria, le sue condizioni di salute non sono delle migliori, ha perso molto peso, lo stress per la continua lotta per la libertà si fa sentire. E ora, se verrà estradato negli Stati Uniti, morirà in prigione”. La denuncia arriva da John Shipton, padre del fondatore di WikiLeaks, intervistato da IlFattoquotidiano.it, nel corso di un incontro organizzato a Roma nella sala della Fondazione Basso, in collaborazione con MicroMega, Filosofia in movimento e il Centro per la riforma dello Stato.
Assange è incarcerato da quasi tre anni, dall’11 aprile 2019, nella prigione londinese di massima sicurezza, Belmarsh, che doveva diventare la ‘Guantanamo’ inglese. Sotto accusa per aver reso pubblici documenti che testimoniavano i crimini di guerra commessi dalle truppe degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq, Assange ha perso la libertà il 7 dicembre 2010. E da allora non l’ha più riacquistata, mentre attende la conclusione del complesso processo sull’estradizione: l’ultimo capitolo è stato il diniego della Corte suprema britannica a presentare appello contro la decisione con cui l’Alta corte lo scorso dicembre 2021 aveva ribaltato il verdetto in primo grado. Ovvero, quello che negava l’estradizione negli Usa del giornalista d’inchiesta australiano. Una giravolta motivata con la convinzione secondo cui Washington sia in grado di offrire tutte le garanzie per eliminare il pericolo di suicidio durante la sua detenzione. “Secondo Amnesty International queste garanzie non sono però credibili. Così come non lo sono nemmeno quelle sul non inviarlo nel carcere americano più estremo, l’ADX Florence, in Colorado, dove sono rinchiusi criminali del calibro del re del narcotraffico, El Chapo Guzman, oltre che sotto il regime speciale di detenzione SAM, caratterizzato da un feroce isolamento”, spiega Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta collaboratrice del Fatto Quotidiano e tra i massimi esperti al mondo del caso riguardante il fondatore di Wikileaks.
“A questo punto la richiesta di estradizione passa al ministero dell’Interno inglese, guidato da Priti Patel, una ministra falco della compagine Tory di Boris Johnson. Per cui è molto probabile che verrà concessa. La difesa potrà ancora fare appello, ma con quali chances?”, continua Maurizi. Eppure, il padre di Julian Assange, John Shipton non intende arrendersi: “Dobbiamo alzare la posta e combattere ancora più duramente per il rilascio di Julian. E ancora insistere affinché la Corte inglese, applicando le proprie leggi, liberi Julian su cauzione prima della prossima udienza. E poi sottoporremo il caso alla Corte europea dei diritti dell’uomo”, aggiunge. Anche perché, in caso di estradizione negli Stati Uniti, con 18 capi di imputazione, tra i quali l’accusa di spionaggio, l’attivista rischia 175 anni di carcere. “Una grottesca persecuzione che va avanti già da 13 anni. La scelta di concedere l’estradizione porterebbe disonore ai giudici, sarebbe una macchia nell’amministrazione del diritto”, ribadisce Shipton.
“Julian Assange rischia di diventare il primo giornalista nella storia statunitense a pagare con la reclusione per tutta la vita per aver soltanto svelato documenti importanti, come il vero volto delle guerre in Iraq e Afghanistan, e quei 15mila morti civili e innocenti mai conteggiati nei resoconti ufficiali del conflitto iracheno. Un’ingiustizia mostruosa contro la quale abbiamo il dovere di mobilitarci”, è l’appello di Maurizi, che spiega invece di “non avere fiducia nel processo legale”. All’opinione pubblica si appella anche il padre, J0hn: “Se mi aspettavo che l’elezione di Joe Biden come presidente degli Stati Uniti al posto di Donald Trump potesse cambiare le sorti del caso e rappresentare una svolta? No, le politiche degli Stati Uniti continuano per decenni e decenni, e in questo momento la linea resta quella di perseguitare Assange e altri whistleblower ed editori. Soltanto con l’attivismo di giornalisti, editori e della stessa opinione pubblica si può arrivare a un cambiamento”, aggiunge Shipton.
Mentre Maurizi ricorda:”L’incriminazione di Assange è stata promossa da Trump. Nelle amministrazioni Obama, invece, si era valutato, ma non l’aveva mai fatto. Oggi invece Biden non chiuderà il caso”. Una scelta già contestata in modo duro da Daniel Ellsberg, l’analista militare che passò molte notti a fotocopiare di nascosto sette mila pagine top secret che rivelarono come le autorità americane avessero mentito ai loro cittadini sulla guerra in Vietnam e come avessero mandato a morire migliaia di giovani americani. “Il presidente potrebbe chiudere il caso in ogni momento, nel giro di un’ora. È una vergogna che Biden persegua ancora Assange”, aveva attaccato Daniel Ellsberg, intervistato dalla stessa Maurizi. “Ha ragione, avrà un effetto devastante”, spiega la giornalista. Una posizione condivisa da Sara Chessa, reporter che in Inghilterra segue il caso per la testata Independent Australia e attivista della Ong Blueprint for Free Speech: “Se verrà estradato, sarà una sconfitta per tutti. Passerebbe il principio per il quale possiamo essere imbrogliati dai nostri governi su fatti importanti come crimini di guerra, senza che la questione ci interessi”. “Non smetteremo di mobilitarci per ottenere il rilascio di mio figlio. C’è soltanto una strada per la libertà ed è la conoscenza. Abbiamo bisogno della libertà di stampa, non c’è un’altra strada”, è l’appello finale di Shitpton.