Mentre donne e bambini continuano a fuggire per cercare rifugio dalla guerra (e molti uomini vorrebbero farlo ma non possono) c’è chi sceglie di fare il percorso contrario e tornare in Ucraina. Non sono solo nazionalisti, appassionati o specialisti di operazioni militari. Ci sono anche giovani come Andrii Burmak, 30 anni, che da anni da anni fa il muratore a Genova e proprio non avrebbe avuto alcuna voglia di imbracciare le armi: “Ma mia madre è venuta in Italia a lavorare quando avevo 6 anni e di fatto io sono cresciuto con mia nonna, che ora è sotto i bombardamenti a 85 anni. Come posso non tornare se mi chiamano amici di una vita e mi dicono che c’è bisogno di me, che stanno devastando i luoghi dove sono cresciuto, che ci sono anziani terrorizzati da trasferire in zone più tranquille del paese?”.
Mentre scriviamo, Andrii si è giù unito alle unità operative ed è nelle zone più critiche. Alcuni giorni fa ha viaggiato da Genova alla frontiera di Medyca tra Polonia e Ucraina, sapendo che non potrà tornare fino a quando non sarà finita, con possibilità non trascurabili di rimanere ferito o di morire. Burmak non è stato cresciuto come ‘carne da cannone’ e fatica a deglutire la retorica del ‘sacrificio per la patria’, ma è consapevole e convinto di quello che va a fare: “Un amico ha perso un braccio, un altro ha riaperto gli occhi adesso dopo giorni di coma perché è stato scheggiato da una bomba mentre trasferiva in macchina dei civili. Sacrificarsi per altri, mettere la propria vita in secondo piano rispetto alla possibilità di salvarne tante altre, questo è difficile da fare ma più comprensibile – ci spiega – è quello che fanno i miei amici e vado a fare io, che non combatterei mai in un altro paese, ma qui si tratta di resistere a chi sta cercando di occupare la mia città”.
Il viaggio verso la frontiera è durato oltre 24 ore. Insieme a Burmak c’è anche Alina Gonciaruk, che a Genova lavorava come badante fino a due settimane fa e adesso ha scelto di tornare a vivere questo momento assieme agli anziani genitori che mai avrebbero potuto affrontare il viaggio della speranza: “Mia figlia e là e pensa che io sia pazza a tornare da loro, sotto i bombardamenti, ma staremo insieme fino alla fine, vada come vada”. Alla guida del furgone, Petro Lesív, 44 anni. Da 20 anni di lavoro fa l’autotrasportatore: “Porto persone e pacchi da Ivano-Frankivs’k a Genova passando da alcune tappe intermedie, è un servizio molto utilizzato e utile per la comunità ucraina in Italia”. Da quando è iniziata la guerra, il servizio è proseguito ma a titolo volontario: gratuitamente porta al fronte chi intende arruolarsi come volontario, gratuitamente riporta in Italia donne e bambini in fuga dalla guerra. Inoltre trasporta sei tonnellate di aiuti umanitari che gli vengono dati da amici della comunità ucraina. “A mia moglie ho detto che appena sentirà paura li porterò in Italia assieme ai nostri quattro figli – spiega – ma nel caso io tornerò comunque indietro per combattere”. La moglie, Ioanna, ha partorito la quarta figlia il giorno dopo il secondo bombardamento dell’aeroporto militare della sua città, eppure non ha interrotto il suo servizio: “Ognuno deve dare il suo contributo, io sono un autista e questo devo fare”. Proprio grazie alla sua attività di autotrasportatore ha ottenuto il “permesso speciale” che il governo concede (raramente) a ucraini under 60 che si ritiene abbiamo un buon motivo per entrare e uscire dal paese. “Ogni viaggio andata e ritorno con furgone e traino carichi mi costa circa 2mila euro, ma riesco a non fare pagare nessuno grazie all’aiuto di molti. In compenso vedo ogni settimana aumentare la presenza di sciacalli che si fanno pagare a peso d’oro i passaggi. La guerra mi fa schifo – si sfoga – ma ancora di più chi ci sta guadagnando, e non è solo chi vende armi, ma anche tante persone che costruiscono un economia sulla disperazione delle persone, speriamo finisca presto”.