Un collaboratore “campione e super-produttivo”, se isolato in un team composto prevalentemente da s-collaboratori, si adegua alla ipo-produzione e alla mediocrità e dopo un po’ cambia azienda.
E’ una fotografia che spesso si presenta anche nelle piccole e medie organizzazioni.
Molte attività aziendali, sempre più frequentemente, non sono caratterizzate da semplicità e ripetitività, come ad esempio registrazioni di fatture, conteggi, contratti e simili. Queste attività vengono sempre più date in outsourcing a piccole imprese di servizi. Le imprese, anche di piccole e medie dimensioni, trattengono in loco i lavori più difficili da esternalizzare in quanto a maggior contenuto professionale. Ne consegue che le prestazioni richieste al collaboratore consistono sempre più nella soluzione di problemi piuttosto che nell’applicazione di procedure ripetitive.
Mi capita spesso di verificare che nelle piccole e medie imprese, per migliorare le prestazioni di una struttura, si prova a immettere un giovane brillante nella speranza che serva da traino per situazioni di produttività stagnante. Quasi mai si ottengono risultati positivi. Perché l’intervento da fare è nei confronti della struttura nel suo insieme mentre si cerca la soluzione più semplice: cambio un giocatore che mi aggiusta tutto!
E’ molto frequente imbattersi in situazioni in cui vi siano dipendenti con diversi livelli di produttività. Ma qualora un dipendente spicchi sugli altri per capacità ed efficienza, si realizza una sorta di “effetto calamita”.
Facciamo un esempio. Ammettiamo di avere un dipendente che risolve problemi fino a difficoltà 100. Se la struttura (reparto, unità organizzativa, funzione) esprime persone in grado di risolvere solo problemi di difficoltà 30, i problemi di difficoltà superiore a 30 verranno automaticamente convogliati sul giocatore di punta in grado di risolvere problemi fino a difficoltà 100. La risorsa, all’inizio, mostrerà grande efficienza risolvendone gran parte, ma, nel lungo periodo, tenderà a risolvere subito i problemi di valore leggermente superiore a 30 – performance comunque migliori rispetto a quelle del gruppo – e a rinviare i più impegnativi in termini di tempo e fatica.
Perché il livello di prestazione complessivo è adeguato la livello di prestazione 30.
Dopo un certo periodo non sarà più allenato a risolvere i problemi dal 50 in su e quindi si sarà avvicinato alla media. Dal momento che la competenza è il reale capitale del “campione”, il knowledge worker quando si accorgerà di essere stato espropriato del suo valore, cercherà un luogo in cui il suo capitale potrà continuare a crescere. Senza contare che anche l’azienda avrà dissipato capitale umano (da 50 a 100) e sarà sottoposta allo stress dell’elevato turnover.
Ma quando si verifica questa situazione? E cioè che un collaboratore con elevato potenziale, inserito in un gruppo mediocre, attira i lavori da più parti finché non reggerà il ritmo o non si adeguerà a una minore efficienza e a una minore qualità?
Un’organizzazione tende a esprimere questo livello minimo di efficienza tollerato quando le risorse che contribuiscono al risultato sono valutate in maniera appiattita, non identificate e non riconosciute.
In sintesi, per un buon dipendente o persona che non vede riconosciuto il suo valore, è remunerata in misura fissa e senza una incentivazione alla super-prestazione, la competenza può rivelarsi un pericolo: tenderà a plafonare il proprio livello di competenza dichiarata per evitare il sovraccarico di problemi e così finirà col diventare incompetente davvero.
Nella maggior parte delle piccole e medie imprese mancano sistemi di valutazione delle prestazioni e di incentivazione del personale. Quante volte ho percepito l’incompetenza dal punto di vista quantitativo e qualitativo nelle pmi per la mancanza di questi due strumenti fondamentali nella gestione delle risorse umane. Il risultato? In queste realtà si genera una sorta di “premio all’inadeguatezza”.
“Non affidarlo a lui, non lo sa fare”, la frase-simbolo che sancisce che il collaboratore inadeguato godrà di una situazione di privilegio e che, in prospettiva, lo porterà a rendersi inutile del tutto poiché avrà sempre meno possibilità di mettersi in gioco e si avvierà verso una china per la quale farà sempre di meno finché non saprà più fare nulla (ma continuerà a prendere lo stesso stipendio del collaboratore efficiente).
Al contrario, quando il gruppo esprime una media elevata, anche la punta verso il basso tenderà a spingersi verso l’alto o a cercare un’altra occupazione.
Per questo motivo, per migliorare la produttività di una unità organizzativa ad alta intensità di conoscenza non serve intervenire sulle punte, ma occorre lavorare sul suo insieme.