Cultura

Caserta si prepara al 250esimo di Vanvitelli, il genio che (per i Borbone) regalò all’Italia la Reggia: il “prodigio” che unisce arte e natura

La città campana è pronta a trasformare la festa per l'architetto napoletano che segnò il passaggio dal barocco al neoclassico in un evento artistico e turistico: convegni, eventi, mostre, musica. Ecco come nacque il mandato del Re Carlo (che voleva competere con Versailles) e perché - come dice lo storico dell'arte Paolucci a ilfatto.it - si può parlare di "miracolo" tra visioni prospettiche, profondità dei giardini, mania per il dettaglio, giochi d'acqua

di Marco Ferri

Convegni, eventi, mostre, ma anche iniziative su quello che può essere definito il “Luigi Vanvitelli contemporaneo”. “Ovvero su quanto di Vanvitelli c’è oggi nella cultura architettonica, ma anche artistica, in questo territorio e altrove” dice l’assessore alla Cultura del Comune di Caserta, il critico d’arte Enzo Battarra. La città campana si prepara a celebrare il 250esimo anniversario dell’architetto napoletano che progettò la Reggia di Caserta e l’imponente Acquedotto Carolino su commissione di Carlo di Borbone. “Gli ultimi anni della sua vita Vanvitelli li trascorse a Caserta sia per seguire la costruzione della Reggia, sia perché si era ben ambientato nella cittadina casertana. Adesso la città ha il dovere di ricordarlo, così come fece 50 anni fa per i 200 anni dalla morte”. L’idea – continua l’assessore – è quella di “aprire Caserta al mondo: Vanvitelli non è un fenomeno locale, ma di rilevanza internazionale. Da qui la voglia di confrontarci con la cultura mondiale sul tema del ‘peso’ di Vanvitelli nello sviluppo dell’architettura. Lui segnò in maniera eclatante il passaggio dal barocco al neoclassico e su questo noi vogliamo lavorare. Il tutto sarà completato da una rassegna musicale con composizioni di musicisti della sua epoca, che probabilmente lo stesso Vanvitelli conobbe, magari ascoltandoli proprio nel teatro della Reggia“. Insomma: “Una celebrazione pluridisciplinare”. Il Comune sta lavorando con ministero e gli altri enti locali sulle iniziative allo studio e sarà invitato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’obiettivo è “riattivare il turismo che sta soffrendo in questi ultimi due anni – dice Battarra – con l’obiettivo di rilanciare Caserta tra i grandi attrattori di turisti e appassionati di cultura”.

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Come nacque la committenza della Reggia di Caserta da parte di Carlo di Borbone a Vanvitelli? Il figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, dimostrò sin da giovanissimo una sensibilità verso le arti e il bello. Aveva infatti solo 16 anni quando, nel 1732, si recò per alcuni mesi a Firenze. Qui fu ricevuto con calore dall’allora granduca Gian Gastone de’ Medici e da sua sorella, Annamaria Luisa, Elettrice Palatina, e salutato come principe ereditario di Toscana. Fu in quella occasione che l’Infante di Spagna rimase estasiato dai lavori che venivano realizzati nella “Galleria dei Lavori” (oggi Opificio delle Pietre Dure): “Don Carlo di Borbone Principe Reale – si legge in un ricordo dell’epoca – andava divertendosi a vedere le cose più rare e magnifiche particolarmente nella Real Galleria et aveva piacere vedere travagliare nell’officine i professori di Pietre dure fino a stare osservare il modo di intagliare i cammei e di lì si prese stima e gran genio a tal arte…”. Questo amore adolescenziale per l’arte – e in particolare per le pietre dure – pochi anni dopo avrebbe prodotto la fondazione del “Laboratorio delle Pietre Dure” di Napoli e poi di Madrid, e la manifattura di porcellana di Capodimonte.

Ma c’era di più: Carlo voleva lasciare un segno indelebile del suo regno anche in architettura, realizzando un’opera che potesse competere con le più grandi e ammirate regge d’Europa. Per questo, nel 1751 Carlo di Borbone commissionò a Vanvitelli la Reggia, visitata ogni anno da quasi un milione di persone, almeno fino al 2019. “Il Re arrivava dalla Spagna – dice Antonio Paolucci, già ministro della Cultura e direttore dei Musei Vaticani – dove si era formato, e voleva realizzare qualcosa che ricordasse le dimore reali che aveva conosciuto in Spagna, in particolare l’Escorial, vicino Madrid. Per fare la sua reggia – che doveva essere luogo di delizie, dove riunire la corte, fare spettacoli e ricevimento – scelse l’Agro casertano, quella che all’epoca si chiamava la Campania felix offrendo dei paesaggi tra i più belli e affascinanti d’Italia. Era lontano da Napoli, così come dal Vesuvio, e vicino al vecchio borgo di Caserta. Il Re chiamò Luigi Vanvitelli, il quale lavorò più di 30 anni per realizzare questo immenso edificio con centinaia di stanze, la Cappella Palatina, un teatro e poi il giardino soprattutto, con le celebri fontane, quella di Diana e Atteone, quella della Peschiera vecchia. La Reggia di Caserta era un luogo che doveva evocare le grandi residenze reali d’Europa, quelle di Spagna e di Francia, come Versailles“.

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Così come il progettista di giardini André Le Nôtre aveva studiato a fondo le geometrie buontalentiane della Villa medicea di Pratolino, alle porte di Firenze, per realizzare i giardini di Versailles, anche Vanvitelli dovette soddisfare il desiderio di bellezza e grandezza del Re spagnolo nel realizzare la Reggia di Caserta, tenendo ben presenti le architetture dei principali palazzi reali di Spagna e di Francia e cercando di sfruttare al massimo le potenzialità della natura. Già all’ingresso del palazzo, attraverso il cosiddetto “cannocchiale“, si ha la visione prospettica e della profondità del palazzo e dei giardini, che mette in evidenza la cura maniacale del dettaglio, nel pieno rispetto dei canoni estetici e del dialogo tra architettura e natura.

“In questo si caratterizza il miracolo della Reggia di Caserta – prosegue Paolucci – nata dal nulla, in una zona assolutamente marginale rispetto a Napoli e diventata poi il monumento mirabile che tutti conosciamo. La Reggia va visitata, percorsa, e i giardini vanno attraversati, per capire come Vanvitelli abbia cercato di creare un connubio perfetto tra arte e natura, tra la bellezza dell’universo creato come gli alberi e l’acqua, e la bellezza costruita, quella del palazzo vero e proprio. Basta pensare che il re Carlo di Borbone fece edificare l’apposito Acquedotto Carolino – dal nome del Re – per portare l’acqua dalle montagne vicine fino alla Reggia, sì da poter mettere in opera quei giochi d’acqua che fanno la bellezza del giardino con le sue fontane. Si tratta di un prodigio di land art, come diremmo oggi, un’arte che si ispira ed entra nella natura, modificandola e interpretandola. Questo ha fatto Vanvitelli per il suo Re nel Settecento, e oggi la Reggia è uno dei luoghi più celebri e ammirati d’Italia”.

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