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Guerra Russia-Ucraina, l’odissea di Said Beid: così il pet detective ha portato in salvo 45 gatti dalle bombe di Kharkiv [VIDEO]

Il pet detective di Monza, famoso per i ritrovamenti impossibili di cani, gatti, roditori, è partito dall’Italia con un tir carico di viveri, gabbie, trasportini, guinzagli e medicinali. Ed è tornato con 44 gatti più uno. Lungo il percorso si è fermato anche ad aiutare i cani randagi

di Simona Griggio

La canzoncina che tutti abbiamo cantato da bambini, “44 gatti in fila per tre col resto di due”, potrebbe essere la colonna sonora della missione di Said Beid in Ucraina: portare in Italia i piccoli felini di un allevamento di Kharkiv sopravvissuti alla guerra.

Il pet detective di Monza, famoso in Italia per i ritrovamenti impossibili di cani, gatti, roditori, pennuti e altre specie di animali smarriti, è partito dall’Italia con un tir carico di viveri, gabbie, trasportini, guinzagli e medicinali. Ed è tornato con 44 gatti più uno: una cucciolina nemmeno svezzata che si chiama El’ Moon, salvata per un soffio dal freddo e dalla fame.

Torniamo indietro a qualche giorno fa, quando l’esperto fantino (l’altra sua occupazione all’ippodromo milanese di San Siro) ha deciso di metter su in pochissimo tempo una spedizione per portare in salvo gli animali dell’Ucraina. Dallo scoppio della guerra a oggi sono state moltissime le segnalazioni e le richieste di aiuto giunte a Said attraverso conoscenze e follower delle sue pagine social. “Mi sono mosso subito. Perché a un mese dall’inizio del conflitto si può ancora fare molto per salvare gli animali che non hanno cibo o sono stati, per forza di cose, abbandonati”.

Said chiede aiuto a una sua amica volontaria, Sara Brambilla dell’associazione New Life di Biassono. E lei gli mette subito a disposizione il magazzino per accantonare il cibo. Già che c’è, Said ci infila anche coperte, cuscini, abbigliamento termico, dispositivi di ricarica per cellulari e altri materiali utili per i profughi: la missione vuole aiutare anche uomini e donne in difficoltà. Poi si rivolge a Simona Buffoli, addestratrice del campo Charlie Dog, che gli propone di unirsi al suo tir già organizzato, per una spedizione unica. Tutto gratuitamente, frutto di volontariato.

La partenza e il viaggio scorrono fluidi. Dietro il tir c’è Oxana in furgone, un’ucraina da tempo in Brianza che potrà essere utile come interprete e ha contatti con Olga, la proprietaria di un allevamento di gatti, esemplari di razza ‘maine coon’ in pericolo.

Da Kharkiv bombardata, dopo giorni di stallo insieme alle bestiole rifugiate in una cantina, Olga sta cercando di raggiungere con il furgoncino la frontiera fra Ucraina e Ungheria con i 45 gatti a bordo. Obiettivo: far trovare loro casa in Italia, mentre lei lascia in patria il marito. Dei gatti del suo allevamento purtroppo dieci sono già morti e dodici sono stati affidati a conoscenti lungo la strada. Oltre mille chilometri di percorso per raggiungere la frontiera con l’Ungheria.

“Quando siamo arrivati al confine con l’Ucraina, ho lasciato Oxana lì, ho mostrato il passaporto e mi sono addentrato oltre il confine per andare incontro a Olga”, racconta Said. Ma una volta raggiunta l’allevatrice, Said scopre che non può portare i felini fuori dall’Ucraina. Gli mancano alcuni documenti fondamentali. Inoltre il veterinario che deve constatare la salute dei pelosi non c’è. Arriverà solo il giorno dopo.

“Ero davvero stanco e sconsolato”, racconta: “I gattini non avrebbero potuto passare una notte al freddo in furgone nello stato in cui erano. Esausti”. Allora segue il consiglio dei volontari del posto e riparte. Questa volta per la frontiera fra Cecoslovacchia e Ucraina. È più semplice da lì, gli hanno spiegato.

Il nuovo appuntamento con Olga sul versante cecoslovacco però non va meglio. C’è da fare una dichiarazione in tre lingue, bisogna mettere i microchip ai gatti che ne sono privi. Bisogna che qualcuno attesti che sono vaccinati. Alcune cose sono risolvibili, altre impossibili senza la presenza del veterinario.

Said e Olga allora si sistemano nel furgoncino, accendono il riscaldamento e passano parte della notte con i mici, riscaldano bene il mezzo e poi vanno a dormire per qualche ora in un campo profughi poco distante. Ma portano con sé El’ Moon, la cucciolina che ormai rischia di morire di freddo. È davvero stremata.

Al primo mattino del giorno dopo il pet detective è già in attesa del veterinario per fare le pratiche. Ma, mentre aspetta, porta da mangiare ai cani che vede in giro. Alcuni li prende e li affida a persone a cui fornisce anche il cibo. I più piccoli? Cerca di affidarli ai profughi in fila per passare il confine. Così è sicuro che saranno consegnati ai volontari. La situazione è davvero grave, giorno e notte: “C’erano madri esauste con bimbi e anziani. E i cagnolini e i gattini nelle borse a tracolla. Allora davo loro i trasportini”.

La veterinaria, quando arriva e constata la situazione, offre a Said di liberare tutti i gatti nel suo studio per farli mangiare e riposare. Nel frattempo l’amica addestratrice e Oxana si attivano a loro volta per sbloccare la situazione e chiamano l’Ambasciata italiana.

Alla fine, quando tutti i gatti sono ormai ristorati, micro-chippati e vaccinati, si scopre che manca ancora un documento di transito che ne attesti la destinazione. Ma non si potrà avere prima di un paio di giorni. Colpo di scena: la veterinaria trova la formula burocratica per far uscire i gatti. Anche la piccola El’ Moon. Subito.

Ora i 44 gatti e la cucciola sono a Bergamo con la loro padrona in una sistemazione provvisoria. Ma per Said Beid non finisce qui. Vuole tornare al più presto in Ucraina, a Kiev, per aiutare i gatti dei rifugi abbandonati.

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