Questo non è un commento su Alessandro Orsini. E’ una premessa alla quale non si può sfuggire, visto che il professore sembra essere diventato la causa scatenante di dibattiti televisivi, articoli e divorzi fra coniugi. E ci si comincia a domandare come mai tutta questa caciara intorno a un accademico che offre un punto di vista diverso, sicuramente non condivisibile sotto molti aspetti.
Una delle risposte più ovvie potrebbe essere la rottura a mezzo televisivo del discorso politicamente corretto, cioè dire quello che non dobbiamo sentire. Il problema è che, seguendo questo assunto, finiremmo col cadere nel complottismo e a credere che chi va contro corrente, a prescindere dalle fesserie dette, sia una sorta di Assange o Anticristo che dobbiamo seguire perché i poteri forti lo vorrebbero morto. Qui però c’è il nocciolo della questione che sembra in pochi abbiano tirato fuori: chi sono questi Assange o Anticristo, meglio noti come “esperti”? Come valutiamo le competenze di un esperto su un determinato argomento? Come decidiamo a chi dare voce e a chi no? Ultimo: come valutiamo quando dare soldi a un esperto? Non vorrei essere in Corrado Formigli che, dai tempi del Covid, ha l’arduo compito di accreditarli o screditarli.
E’ a Piazza Pulita che sono nati i virologi star e tante altre stelle cadenti “esperti” delle situazioni più disparate. Tralasciando La7, il problema appartiene già alla società e ai suoi megafoni, chiamati quotidiani d’informazione. Prendiamo il caso più assurdo: quello di Mirko Scarcella. Guru dei social, dice di conoscere l’algoritmo segreto per trasformarci tutti in un Gianluca Vacchi (sua creazione, anche se Vacchi smentì successivamente). Nessuno controlla la veridicità di quello che dice, dei suoi risultati, e si accredita nei salotti tv. Viene poi smascherato da Gaston Zama de Le Iene.
Gli esperti diventano tali non per i loro titoli accademici ma per la credibilità che attribuisce loro qualcuno, spesso arbitrariamente. Così, da esperti a generalisti il passo è breve: si ignorano i contesti locali, come le dinamiche interne all’Ucraina, e si finisce per prediligere una visione generica che porta a dire ovvietà. Più il discorso si semplifica e più entrano in campo altri attori, giornalisti, in particolare quelli della buoncostume, come Gramellini – indimenticabile la sua pessima lettera all’amico musulmano, all’alba dell’attentato a Nizza –, capaci solo di trasformare il dibattito in una tifoseria.
Non è neanche questione di malafede o di prendere soldi da qualche governo che foraggia la propaganda di un paese a mezzo stampa. E’ il sistema Italia nel quale critichiamo i duemila euro a puntata che il programma Carta Bianca voleva dare a Orsini, continuando ad accettare che dirigenti Rai e presentatori tv sulla rete pubblica prendano centinaia di migliaia di euro pagati dai contribuenti, noi. Alziamo la testa rivendicando la trasparenza per un contratto da 16 mila euro e la nascondiamo poi come fanno gli struzzi sui milioni che si intascano altri.
Se fosse solo una questione di soldi dovremmo farci schifo per non essere riusciti a risolverla da anni, ma a far più schifo è il nostro immobilismo come società civile davanti al conflitto in Ucraina che è solo l’ultimo capitolo di una lunga scia di sangue partita dalla Siria. Un paese dilaniato da dieci anni di cui gli esperti nostrani, quelli che vediamo seduti a pontificare dall’alto dei loro titoli, ci hanno detto tutto e il contrario di tutto. Ci hanno detto che l’Isis era il male e che i russi – i russi, diamine – ci avrebbero liberato. E sono gli stessi, questi maledetti esperti, a dirci che sono i russi oggi il male assoluto. Sembra una commedia alla “Scemo più scemo”. Solo che è tutto reale.