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Alopecia, la forma di cui soffre Jada Pinkett Smith “è associata a una malattia autoimmune”: ecco di cosa si tratta

"I linfociti, le cellule del sistema immunitario, riconoscono come 'estranei' i bulbi del capello e li aggrediscono”, spiega Laura Colonna responsabile del servizio di Dermocosmetologia e tricologia dell'Istituto dermopatico dell'Immacolata (Idi) di Roma. Varie le possibili terapie, dall'utilizzo di farmaci cortisonici alle infiltrazioni e terapie con immunosoppressori. Ma non sono completamente risolutive

Per gli uomini può essere un dramma, per le donne può diventare una vera e propria tragedia. È probabilmente così che Jada Pinkett Smith, la moglie del celebre attore Will Smith, vive la sua alopecia. Per moltissime donne infatti la caduta dei capelli equivale alla perdita di un pezzo importante della propria femminilità. Un trauma psicologico. Will Smith alla cerimonia degli Oscar ha colpito in viso Chris Rock a seguito di una battuta infelice rivolta alla moglie.

Che Jada Pinkett Smith vivesse male la sua alopecia lo ha confessato lei stessa. “Mi raso fino al cuoio capelluto, altrimenti sembra che sia stata operata alla testa, o qualcosa del genere”, ha raccontato. “Un giorno, all’improvviso, ho dovuto affrontare questo problema. Che era impossibile – continua – da nascondere, così ho deciso di condividerlo con tutti. Prendermi cura della mia chioma era uno splendido rituale di bellezza. Ma cosa fai quando scopri di non avere più scelta? Sotto la doccia sono rimasta con una ciocca di capelli in mano, ho tremato dalla paura. Arrivata a questo punto, ho imparato a sorriderci sopra, anche perché non ci sono altre alternative”.

Il problema di Jada Pinkett Smith è lo stesso – o molto simile – a quello di milioni e milioni di donne in tutto il mondo. L‘alopecia, infatti, è un disturbo più diffuso di quanto si pensi. Si stima che colpisca circa il 2% della popolazione, inclusi i bambini. Le cause possono essere diverse. In particolare, l’alopecia della moglie di Will Smith sembra essere associata a “una malattia autoimmune in cui i linfociti, le cellule del sistema immunitario, riconoscono come ‘estranei’ i bulbi del capello e li aggrediscono”, spiega Laura Colonna responsabile del servizio di Dermocosmetologia e tricologia dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) di Roma. Varie le possibili terapie, dall’utilizzo di farmaci cortisonici alle infiltrazioni e terapie con immunosoppressori. Ma non sono completamente risolutive.

L’alopecia si può presentare in varie forme: dall’alopecia areata, caratterizzata da una o più chiazze di perdita dei capelli all’alopecia universale, in cui si ha la perdita completa della peluria. “Molte volte – spiega Colonna – la malattia può essere anche scatenata da episodi particolari e di forte impatto come un lutto o la depressione, e si tratta in alcuni casi di una patologia autorisolutiva perché i capelli possono ricrescere dopo un lasso di tempo. Può però ripresentarsi”. Diversa è la forma di alopecia cicatriziale, in cui, il bulbo viene distrutto ed i capelli non possono più ricrescere.

Molto diffusa anche la cosiddetta alopecia androgenetica, un disturbo che riguarda ben 4 milioni di donne in Italia. Per decenni si è pensato che le elevate concentrazioni di androgeni nel sangue potessero rappresentare una “spia” e quindi un indicatore del trattamento da seguire. Ma qualche anno fa l’Androgen Excess (AE)-PCOS Society ha pubblicato una serie di raccomandazioni in cui si stabilisce che questa forma di alopecia non è sempre legata alla presenza di elevati livelli di questo ormone maschile. “I capelli possono cadere o diradarsi anche se le concentrazioni di androgeni nel sangue risultano normali”, conferma Cecilia Motta, coordinatrice del Gruppo endocrinologia ginecologica dell’Associazione medici endocrinologi (AME). I livelli di androgeni, quindi, non rappresentano sempre un valido “biomarcatore” dell’alopecia femminile e, di conseguenza, non sempre possono essere considerati come un indicatore del trattamento da seguire. “Questo significa, quindi, che molte donne affette da questo problema potrebbero beneficiare lo stesso del minoxidil, terapia topica con effetti anti-androgenici. Anche se le concentrazioni di androgeni nel sangue sono normali”, sottolinea Motta. Per le donne affette da calvizie si tratta di un’opzione terapeutica, prima scartata, che potrebbe migliorare la loro condizione.

Le origini multifattoriali di questo problema sono la causa principale della mancanza di una cura definitiva. “Abbiamo solo trattamenti che possono bloccare o rallentare la perdita di capelli”, spiega Motta. “Il trattamento di prima linea è il minoxidil a cui si può aggiungere, tramite un’attenta valutazione caso per caso, una terapia sistemica antiandrogenica. Ancora poco chiari – continua – i benefici associati alla terapia con laser a bassa intensità e alle iniezioni di plasma ricco in piastrine (Prp)”. Di certo c’è che prima si iniziano i trattamenti, migliori saranno i risultati. Gli esperti concordano sul fatto che è meglio intervenire quando il danno è ancora limitato in modo da arrestare la caduta. Se una cura non esiste, l’unica opzione è arrestare o rallentare il processo.