Zabuchchya è a una manciata di chilometri dall’ingresso di Irpin, la cittadina-baluardo alle porte di Kiev dove l’avanzata dell’esercito russo si è praticamente arenata. Ieri pomeriggio il sindaco della cittadina, Olexsandr Markushin, ha annunciato la sua liberazione, ma gli scontri sono ancora troppo vicini per consentire l’accesso a ciò che resta sul campo dopo settimane di attacchi. Così, i soldati ucraini al checkpoint impediscono l’accesso anche ai giornalisti: “È ancora troppo pericoloso restare o entrare in città – spiega il primo cittadino di Irpin -, si spara ancora e il rischio di restare colpiti è molto elevato. A Bucha (5 chilometri a nord di Irpin, ndr) i combattimenti sono in corso. Le autorità stanno continuando a evacuare i residenti. La mia città è a pezzi, almeno il 50% del patrimonio edilizio è andato distrutto, ma come annunciato ieri i russi sono stati spinti fuori”.
All’altezza di Syrets la situazione cambia drasticamente lungo via Stetsenka che costeggia il parco Dubky. I posti di blocco iniziano a farsi più frequenti e il traffico meno intenso. Pochi chilometri più avanti si deve proseguire a piedi per un tratto, bypassando la strada principale sovrastata dal ponte ferroviario della linea che sale verso nord per poi piegare a est oltre il fiume Dnepr. Un tratto lungo circa un chilometro dello stradone a doppia carreggiata è chiuso sia al transito di persone che di veicoli: un cartello evidenzia il rischio di potenziali esplosivi lungo il percorso. Conviene seguire i civili, residenti della zona, quelli che sono rimasti nonostante tutto, nonostante si trovino costretti a convivere con i boati delle esplosioni vicino alle loro case.
Nelle prime settimane di marzo l’avanzata russa è arrivata fino a qui e i segni dell’artiglieria pesante sono evidenti: edifici colpiti, altri danneggiati dall’onda d’urto, veicoli bruciati in mezzo alla strada. Eppure c’è ancora qualcuno che non intende mollare e andarsene. Come la signora Julia, seduta su una panchina, in mano ha il guinzaglio del suo bassotto: “Dove vuole che vada alla mia età? Ormai sono abituata a questi scoppi. Presto finirà tutto”.
Nel tratto finale di Stetsenka, uno stradone lungo quasi 7 chilometri, superato l’ennesimo posto di blocco, si arriva al Lavina Mall, un enorme centro commerciale che in linea d’aria si trova a meno di 10 chilometri da Irpin. A nord, lungo la E373, la circolazione è interrotta. È quello il percorso più rapido per arrivare a Irpin e soprattutto a Bucha, dove gli scontri sono ancora fortissimi e dove ieri le forze ucraine denunciavano la violenza dell’esercito russo. Se a Kiev i combattimenti dell’area sotto attacco sono un costante sottofondo, qui lo scenario muta e diventa sempre più angosciante. Ma i militari ai check-point e i civili di passaggio, sempre di meno per la verità, non sembrano particolarmente tesi e preoccupati. Questione di abitudine.
Dirigendosi verso sud, si trova presto un posto di blocco, l’esercito sta costruendo un’altra barriera da cui parte una via secondaria che conduce proprio all’abitato di Irpin. Il fronte del combattimento è sempre più vicino e la potenza dei boati aumenta. Continuando lungo la strada P30 si oltrepassa il confine geografico dell’oblast di Kiev ed entrando nel territorio municipale di Irpin. Ci mettiamo alle spalle piccoli agglomerati di case fino ad arrivare a Zabuchchya, l’ultimo centro prima di Irpin. Nonostante i permessi, il responsabile militare del check-point blocca chi vorrebbe proseguire oltre. Tempo alcuni giorni, magari con la liberazione della vicina Bucha, dove si è spostato l’epicentro del confronto militare tra gli eserciti russo e ucraino, e forse sarà possibile registrare ufficialmente cosa resta di Irpin.