La gestione dell’acqua nell’età antropocenica è soggetta alla pressione di tre attori abbastanza nuovi nella storia del mondo: le compagnie transnazionali, le organizzazioni internazionali e quella che viene normalmente chiamata società civile. Gli obiettivi di questi attori e quelli dello Stato-nazione sono talvolta molto diversi. Lo Stato-nazione, nello stesso tempo, rimane l’istituzione che fornisce la base giuridica per le organizzazioni internazionali e, nello stesso tempo, si interfaccia direttamente con la società civile.

Grande è la confusione sotto il cielo, il cui effetto serra aumenta in modo inesorabile e ineluttabile. Ma la situazione è tutt’altro che eccellente. L’Unione Europea sta governando la coda della pandemia e, soprattutto, la post-pandemia con la logica dell’emergenza. E la guerra in Europa è una novità ulteriore, che innalza ancor più l’asticella dell’emergenza, pur nella totale indifferenza per un’altra trentina di conflitti armati tuttora aperti nel mondo.

In Italia, la parola “emergenza” suona dolce come il miele nelle orecchie della politica, dell’economia e della finanza. Peccato che la logica dell’emergenza sia la ricetta peggiore per il governo dell’acqua efficace ed efficiente, affidabile e sostenibile, equo e solidale. E la crisi meteorologica dell’Italia nord-occidentale non fa che amplificare le ragioni, le suppliche, le invocazioni dell’emergenza in questo inizio di primavera.

Burocrati ed “esperti” stanno contribuendo al cocktail post-pandemico da punti di vista e aspirazioni contrastanti. La gestione dell’acqua nell’Antropocene comporta la gestione delle differenze. Sono le differenze di scala (comunità, regione, nazione, transfrontaliera, globale) e le differenze tra utenti (agricoltura, industria, municipalità, ecosistemi). A cui si sommano le differenze di visione causate della mancata armonizzazione e condivisione di metodi e pratiche da parte degli esperti.

La convergenza delle diverse discipline è la chiave per risolvere i problemi idrici ma, dopo un secolo di riduzionismo culturale, prevale l’invidia reciproca. Il “tavolo tecnico” – nazionale o internazionale, locale o consortile – evoca l’immagine dei ciechi danteschi che, nel tredicesimo canto del Purgatorio, chiedono l’elemosina davanti alle chiese:

Così li ciechi a cui la roba falla,
stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,
e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,
perché ’n altrui pietà tosto si pogna,
non pur per lo sonar de le parole,
ma per la vista che non meno agogna.

Di fronte a cambiamenti rapidi e apparentemente imprevisti, dimentichiamo che coesistono società di diverse “età dell’acqua”. Queste diversità possono entrare in collisione, come accaduto negli ultimi cent’anni, un periodo molto breve della storia umana in rapporto alle trasformazioni avvenute in questo periodo. Spesso in modo drastico, radicale, talora violento.

In Europa, la trasformazione strutturale del settore idrico è stata controllata dall’assetto finanziario-industriale dominante, quello d’ispirazione ordo-liberale. E si sta realizzando in un sistema globale di disuguaglianze e disparità, che ostacola la diffusione a tutti i segmenti della società degli sviluppi benefici della tecnologia. Né il sistema ha trasmesso questi sviluppi benefici in altre parti del mondo dove l’Europa ha tuttora una forte influenza.

Le trasformazioni delle tecnologie dell’acqua hanno cambiato i paradigmi ma alcuni dei tradizionali archetipi, tuttora vivi e vegeti, si scontrano con quelli emergenti. E “la maggior parte dei leader politici […] prende decisioni politiche come se non ci fosse alcun limite all’approvvigionamento idrico”, scrisse Maude Barlow anni fa (Blue Future: Protecting Water for People and the Planet Forever, New York: The New Press, 2014). Né la pandemia, né la guerra, né la rinascita plasmata dallo slogan della resilienza, oggi assai popolare ma affatto negletto fino solo poco tempo fa, hanno finora modificato l’attitudine di chi governa l’acqua.

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