di Stefania Rotondo
Come risponde l’Europa? La guerra in Ucraina ha scoperchiato il vaso di Pandora, ha svelato ciò che tutti sapevamo ma che per 80 anni abbiamo fatto finta di non vedere. È ormai chiaro in questo scenario, più che in altri, che gli interessi europei non sono quelli di Washington e che Pechino guarda con attenzione alla guerra in corso in attesa di un proprio tornaconto. La Russia di Putin scava fosse per seppellire non solo migliaia di cadaveri sparsi nel suolo ucraino, ma anche la tenuta economica, demografica, energetica, alimentare e militare del vecchio continente. Dinanzi a tali differenti obiettivi l’Europa non pare unita. Ma la guerra è in casa nostra e sta spargendo molto sangue. In una prospettiva di guerra a bassa intensità, pare che questa potrebbe durare a lungo e se così fosse ci divorerebbe.
Oggi gli americani, lo dice Hillary Clinton, vogliono dissanguare la Russia. Il loro obiettivo non è entrare direttamente in guerra con l’Orso – sarebbe un suicidio nucleare – ma è quello semplicemente di annichilirlo. Farlo avvitare fino al punto di intricarsi, come capitò agli americani stessi in Afghanistan o in Vietnam. E il combinato disposto tra le sanzioni economiche comminate alla Russia e la potenza di fuoco dispensata alla resistenza ucraina ci fa pensare che l’obiettivo americano non sia poi così chimerico.
La pressione di Biden su Zelensky è potente. Continua ad armarlo, ma appare evidente che per la sopravvivenza dell’invaso popolo ucraino questo sia ormai il minimo sindacabile. Lo persuade – anche a ragione – che il nemico ha i giorni contati e che solo dopo la retrocessione di questo sul campo di battaglia i negoziati diplomatici potrebbero sortire un effetto positivo. Quando sabato scorso al Royal Castle di Varsavia il Presidente americano ha tuonato volutamente per un regime change, stava dicendo agli ucraini che la guerra sarà lunga. E lo sarà dunque anche per l’Europa. I tanti soldi che gli americani stanno elargendo agli ucraini servono affinché Zelensky continui ad avere alleati contro la Russia. In patria e fuori. Ma mentre per gli americani la Russia è lontana, non lo è per l’Europa.
Perché gli americani, pur non vincendo le guerre, rimangono sempre la prima potenza? Perché vivono dall’altra parte del mondo. Ed ecco allora che appare evidente come ogni errore che compie la Russia in Ucraina non solo è un disastro per se stessa, ma per l’Europa tutta.
Zelensky è utile a questo gioco. La macchina mediatica americana lo ha trasformato in un leader forte. Egli ha trasceso gli immaginabili confini della sua figura, trasformandosi nel leader del paese da liberare. La sua leadership rappresenta tutto il popolo ucraino ed è credibile, spendibile, agli occhi del mondo occidentale. Le leadership europee, invece, appaiono deboli, momentanee, inseguitrici di soli consensi. Si sono concentrate negli ultimi decenni solo all’integrazione dei mercati e alla crescente prosperità. Hanno espanso welfare finanziata sostanzialmente a debito, scaricando i costi sulle generazioni future. La crisi ucraina sta evidenziando la scarsa lungimiranza delle politiche di ogni singolo paese europeo, i lati oscuri di tutto ciò che hanno rappresentato: la dipendenza energetica dalla Russia, l’uscita dall’energia atomica per molti, lo scarno bilancio per la difesa, la sovranità europea.
Perché in tutti questi anni l’Ucraina non è mai stata agganciata in modo strategico e definitivo all’Occidente? Perché molti paesi europei hanno permesso che diventassero così dipendenti dalle importazioni di gas dalla Russia? Come farà ora l’Europa a ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche russe e affrontare la corsa dei prezzi, salvaguardando gli interessi nazionali? Come faranno i ventisette sistemi nazionali a convogliarsi in uno sforzo comune, condividendo minacce e rischi? Come risponde l’Europa? Silenzio. Nessuna risposta. Ci pensiamo noi americani!