“Il coinvolgimento delle famiglie e delle associazioni non può essere un mero atto formale, ma deve essere considerato un elemento centrale per la gestione delle persone in Rsa”. Parole pesanti quelle del Garante dei detenuti che, dopo due anni pandemia e uno di campagna vaccinale, nei giorni scorsi ha richiamato i gestori delle strutture per anziani non autosufficienti al “rispetto della volontà delle persone ospitate”.
La situazione, del resto, è talmente fuori controllo che non ci si crederebbe, se non fossero scese in campo figure al di sopra di ogni sospetto ed equivoco, come appunto il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma o, prima di lui, Amnesty International e, in Parlamento, l’onorevole Lisa Noja, per citare solo alcuni esempi. Tutti a battere sul tasto dolente delle Rsa che non fanno entrare i parenti degli anziani che ci abitano (figuriamoci i volontari, i sacerdoti, gli assistenti sociali, i messi comunali, gli avvocati e in alcuni casi neppure i medici specialisti), nonostante le tante leggi e leggine che lo consentirebbero e l’avvicinarsi della fine dello stato di emergenza con l’atteso ritorno alla normalità. Le visite di mezz’oretta alla settimana, quando sono concesse, avvengono in parlatori condivisi ma separati dal resto della casa, in situazioni tutt’altro che spontanee che non agevolano certo la comunicazione con persone che nella maggioranza dei casi soffrono di demenza.
Peggio che un regime carcerario per di più a pagamento, insomma. Non a caso Palma se n’è occupato a più riprese. E nei giorni scorsi ha fatto sapere di aver ha contattato gli assessori regionali competenti per invitarli a monitorare la situazione dell’apertura delle residenze alle visite e alle attività e a “prendere in considerazione questo importante aspetto in fase di accreditamento delle strutture stesse”. Palma, che negli ultimi due anni ha fatto numerose visite nelle Rsa “rilevando una grande disomogeneità non solo tra le diverse regioni, ma anche all’interno dello stesso territorio regionale”, ritiene infatti che “vadano ridefiniti i criteri di accreditamento delle strutture” e che non sia “accettabile la determinazione del minutaggio massimo previsto di presenza dell’operatore presso ogni persona ospitata. Una modalità che non tiene conto delle diverse situazioni ed esigenze delle persone assistite a favore di una sorta di “catena di montaggio” delle cure, più attenta all’ottimizzazione delle risorse, spesso insufficienti, che non alle reali necessità delle persone fragili a esse affidate”.
D’altro canto i padroni di casa, i gestori delle strutture, gettano acqua sul fuoco della segregazione degli anziani in Rsa che, sotto varie forme, va avanti ormai da più di due anni nonostante le riaperture delle case che ospitano la popolazione più fragile e non autosufficiente siano state sancite da svariate norme spesso ignorate o aggirate in nome della discrezionalità dei direttori sanitari. E così parlano di esagerazioni di parenti isterici e magari no vax. Oppure della prevalente necessità di tutelarsi legalmente dai procedimenti che seguirebbero inevitabilmente alla diffusione di nuovi contagi di covid in struttura. Poco conta che i nuovi focolai ci siano comunque, mentre le nuove azioni legali no.
Secondo il Garante “le direzioni sanitarie tendono spesso ad assumere decisioni ‘difensive’, riducendo al minimo le possibilità di contatto diretto tra le persone ospitate e i loro cari, in nome delle prevenzione della diffusione del virus. Occorre però ricordare – ammonisce – che altrettanto importante è la tutela degli affetti e delle relazioni dei pazienti”. Per questo ritiene “necessario che si avvii al più presto un percorso di ritorno alla normalità, soprattutto per quanto riguarda le visite dei familiari”.
Tanto più che ci sono i casi, non trascurabili, di maltrattamenti e di mala gestione delle strutture favoriti dal mix dato dalla chiusura delle stesse all’esterno e dalla carenza di personale ormai poco specializzato e sottoposto a turni massacranti. Sempre secondo i gestori si tratterebbe di eventi isolati e circoscritti. Le solite mele marce? Vallo a chiedere alla Liguria di Giovanni Toti, dove a settembre un’anziana in Rsa a Sanremo è morta strozzata dalle cinghie di contenzione, mentre nei giorni scorsi è esplosa un’inchiesta della procura di Imperia che, oltre alle “solite” mele marce accusate di maltrattamenti, indaga i loro datori di lavoro, i vertici della cooperativa Cos di Genova, una realtà presente in Liguria, Lombardia e Piemonte dove gestisce 26 strutture per oltre 1300 posti letto, che secondo quanto trapelato sulla riservatissima indagine del pm Salvatore Salemi era a conoscenza di quanto accadeva alla Rsa Le Palme di Arma di Taggia, ma non interveniva perché altrimenti avrebbe dovuto fermare il servizio. Nell’ambito del quale era stato fissato un budget giornaliero alimentare di 1,5 euro a ospite per coprire colazione, pranzo, merenda e cena. Accuse pesanti che trovano eco con quanto accade in Francia, dove i colossi del settore presenti anche in Italia sono finiti nell’occhio del ciclone sia in Borsa che davanti allo Stato che li ha sovvenzionati, dopo le rivelazioni del giornalista Victor Castanet nel libro inchiesta Les Fossoyeurs (I becchini) e del programma investigativo di France2, Cash Investigation.
È in questo contesto che, alla vigilia della scadenza dello stato di emergenza che in sostanza non prevede la riapertura delle strutture, diverse associazioni di parenti sono scese in piazza per dare voce ai loro nonni e genitori. “Apprendiamo dalla televisione che tutto il paese riapre, si torna alla normalità, mentre per noi la normalità sembra non poter tornare mai più”, si legge in un volantino di CDSA, Comitato di lotta RSA/RSD Roma, Comitato Nazionale Anchise, Comitato Parenti RSA Torino, DIxDI, Cub Sanità Nazionale, Ma De, Medicina Democratica, Forum per il Diritto alla Salute, Fairwatch, Attac Italia, Ass.ne Angeli Custod, Rifondazione Comunista Lombardia, Comitato Diritti per Disabilità Massa Carrara, Associazione Umana OdV Perugia, Comitatofamigliersa.rsd, Famiglie Unite, Confederazione Cobas, Movimento Rivoluzione Umana e Associazione Adina Firenze.
“Oltre alle visite dei familiari sono state soppresse le visite dei volontari che, per alcuni di noi, sono l’unico sostegno. Sono state soppresse molte attività e licenziati molti operatori che prima ci proponevano delle attività ricreative; tutto il personale è in cronica carenza, costretto a carichi di lavoro eccessivi, sfruttati e ricattati – recita il volantino che dà la parola agli anziani -. Non permettono ai nostri cari di venire a trovarci nelle nostre stanze; non possiamo far vedere a nessuno alcune situazioni che per noi non rispettano la nostra dignità e la nostra cura perché non permettono ad altri occhi di vedere, di controllare per il nostro bene. Molti di noi si sono già lasciati morire perché non hanno retto ai traumi inflitti. Per “proteggerci”, ci stanno uccidendo, permettendo alle dirigenze sanitarie di gestire arbitrariamente i nostri corpi come contenitori vuoti, senza tener conto che abbiamo affetti, identità, emozioni e anime che vorremmo fossero considerate e rispettate”.
Quindi l’appello alla società civile a non chiudere gli occhi su questa situazione e la richiesta al ministero della Salute di approvare entro 15 giorni un nuovo decreto per “togliere immediatamente la discrezionalità dei dirigenti delle strutture residenziali socio-sanitarie che dipendono dai Gestori privati e la stanno usando da oltre un anno solo per allontanare i nostri cari e, quindi, per non avere altri occhi che vedono all’interno delle strutture”. Mentre alle Regioni viene chiesto di fare il loro dovere, cioè di “garantire attraverso la vigilanza delle Asl che le strutture socio-sanitarie accreditate rispettino gli standard del personale previsto nell’accreditamento” e di “aprire subito un tavolo di confronto Stato-Regioni con le parti interessate, comprese le associazioni di tutela dei diritti dei malati non autosufficienti e rappresentanti di comitati di familiari ricoverati, per definire una nuova riorganizzazione delle cure sanitarie e socio-sanitarie”.
Quindi si ricorda che i responsabili di quello che succede nelle Rsa sono il Ministro della Salute e gli Assessori alla Sanità: “Non siamo né clienti, né ospiti di alberghi, ma anziani, malati, persone con disabilità, non autosufficienti, non possiamo difenderci e per giunta paghiamo anche una parte delle cure. Abbiamo diritto alle cure in base alla legge e agli affetti, perché sono diritti umani. Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, non ci può trattare come “scarti” della sanità e della società e metterci nelle mani dei gestori privati, sempre più spesso multinazionali, che vincono le gare sulla base dell’offerta al ribasso. Ribasso che pagano i lavoratori e le lavoratrici e di conseguenza noi sulla nostra pelle”.