Metà dei suoi 46 anni, dal 1999, lo chef li ha vissuti nella capitale del Paese ora sotto attacco. Da quel 24 febbraio, quando Vladimir Putin ha dato inizio all'invasione del Paese, la sua vita è stata stravolta: "Rimanere aperti era impensabile, ma con la mia famiglia abbiamo deciso di non andarcene. Penso ai miei dipendenti, qui gli ammortizzatori sociali non esistono"
Dalle 2 Forchette d’Oro del Gambero Rosso alle bombe su Kiev, passando attraverso la pandemia, la pubblicazione di un libro dedicato al suo ristorante, il Fenix, e la scelta di restare in Ucraina. Stefano Antoniolli, chef di origini trevigiane, ha vissuto gli ultimi due anni così, portando avanti la propria attività di successo nonostante i rischi legati prima alla pandemia e, poi, al conflitto esploso nel Paese di Volodymyr Zelensky. E non molla. Fino alla sera del 24 febbraio scorso, comunque, era tutto tranquillo: “Abbiamo servito la cena a decine di clienti. Nessuno, anche dopo il discorso del presidente russo Vladimir Putin, pensava che l’attacco militare sarebbe avvenuto, io compreso. Nella notte è iniziato l’incubo e la mattina del 25 la città era già trasformata”, racconta a Ilfattoquotidiano.it.
Metà dei suoi 46 anni, dal 1999, lo chef li ha vissuti nella capitale del Paese ora sotto attacco: “Dopo la scuola alberghiera ho lavorato due anni a Dubai, sono tornato in Italia per fare la ‘naja’ (pochi anni prima della fine dell’obbligatorietà, ndr.), poi un amico di famiglia che aveva dei rapporti business con russi e ucraini mi ha detto ‘Stefano, aprono un ristorante a Kiev, serve un cuoco, te la senti?’. E io me la sono sentita. Ora – confida lo chef italiano che preferisce non affrontare temi legati alla politica – l’Ucraina è la mia seconda casa. Qui ho messo su famiglia, lavorato, aperto locali fino all’esperienza del Fenix, avviata nell’agosto 2020, che stava crescendo e raccogliendo importanti risultati. Dalle Forchette del Gambero Rosso al libro presentato quattro giorni prima dell’attacco russo. Quando sembrava che la vita avesse professionalmente preso una piega ideale, su Kiev sono risuonate le sirene e cadute le bombe. Adesso siamo tutti in attesa di capire gli eventi, ma non me ne vado. A casa con mia moglie e mio figlio di 17 anni ne abbiamo discusso, decidendo poi di restare. Da qualche giorno mio figlio ha ripreso la scuola in dad, lui è l’unico a farla dalla capitale, tutti gli altri sono sfollati a ovest o addirittura in altri Paesi europei. Proprio quest’anno che aveva l’esame di maturità. La prova finale la svolgerà da remoto, sarà a suo modo indimenticabile. L’opzione di andare in Italia, magari per qualche mese, è sempre lì, ma la adotteremo soltanto in presenza di un ulteriore peggioramento della situazione. Paura della guerra? Allo stato delle cose no, la mia paura è il lavoro, non poter tornare al passato. In Ucraina non esistono ‘paracaduti’ sociali di legge, non ci sono cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali”.
L’incontro con chef Antoniolli avviene in via Shota Rustaveli, a due passi dallo stadio Olympiyskiy, dove gioca la nazionale di calcio ucraina e dove si tengono le partite delle coppe europee di Shakhtar Donetsk e Dynamo Kiev, e a un quarto d’ora a piedi da Maidan: “I locali di questa strada hanno riaperto due giorni fa, sono praticamente quasi gli unici. Un buon segnale che indica il desiderio di ripartire piano piano, ma non bisogna mai dimenticare che il conflitto vero è a pochi chilometri – ricorda – Come vede a Kiev la situazione è abbastanza vivibile anche se la città è deserta, blindata e tutti i sono sull’altolà. Riaprire il mio ristorante adesso è impensabile. Un conto è riattivare locali per giovani come questo, dove mangiare un hamburger o un gelato, bere un caffè, altra cosa sarebbe un locale strutturato come il Fenix con 320 coperti e una clientela che a Kiev non c’è più. In città è rimasta meno della metà delle persone, chi ha potuto si è spostato altrove, nei Carpazi a Leopoli o addirittura in Polonia. La nostra ex baby-sitter che abitualmente ci teneva sott’occhio la casa quando andavamo in Italia, l’ultima volta proprio a gennaio, anche lei se n’è andata”.
Le sue giornate in tempo di guerra a Kiev vengono scandite da alcuni rituali fondamentali: “Ogni giorno vado al ristorante a controllare la situazione, sistemo le cose che ci sono da fare. Nelle prime settimane del conflitto ho cucinato per i volontari della Difesa Territoriale, civili che hanno smesso gli abiti normali per aiutare l’Ucraina in guerra. Per timori di avvelenamenti il governo ha deciso di centralizzare tutta la preparazione dei pasti della forza difensiva e quindi ho fornito tutta la merce a rischio di deperimento a una mensa centralizzata ufficiale. Il pensiero va ai miei collaboratori, soprattutto ai giovani. I 30 cuochi, i 20 camerieri, 5 barman e così via. Una buona parte di questi si sono uniti alla Difesa Territoriale, altri sono fermi. Il programma di Rai 3 ‘Che Succede’ è stato ed è fondamentale per aiutarli grazie alla raccolta fondi avviata tra i telespettatori che seguono i nostri collegamenti quotidiani. Tutti i soldi che arrivano li divido e li giro proprio ai miei ragazzi”.