Anche il bere moderato di alcolici sarebbe fonte di rischio per la nostra salute. Partiamo dall’inizio, da un’analisi condotta dall’Anglia Ruskin University e dall’University College di Londra del database dell’UK Biobank Study. Si tratta di una raccolta di dati epidemiologici, iniziata nel 2006-2010, a cui partecipano su base volontaria mezzo milione di cittadini britannici. Le informazioni mediche e i campioni clinici di queste persone sono stati messi a disposizione (in forma anonima) dei ricercatori che ne hanno fatto domanda, per studiare come prevenire, diagnosticare e curare gravi malattie. Nella parte di analisi incentrata su alcol e rischio cardiovascolare, i ricercatori hanno preso in esame circa 350.000 partecipanti. Di questi, 333.000 avevano dichiarato di consumare alcol, in quantità e frequenza varie, mentre quasi 22.000 avevano invece detto di non avere mai assunto bevande alcoliche nemmeno saltuariamente. Ai partecipanti era stato chiesto quanto alcol consumavano settimanalmente, e di che tipo.
Un primo risultato rilevato è apparso paradossale: “Rispetto ai bevitori, chi non ha mai fatto uso di bevande alcoliche sembra avere un rischio cardiovascolare più alto”, scrivono gli autori della ricerca. C’è però un inghippo: i non bevitori inclusi nello studio risultavano essere meno attivi fisicamente, con indice di massa corporea e pressione sanguigna più elevati. È probabile dunque che molti di loro non consumassero bevande alcoliche perché non erano in buone condizioni di salute. Inoltre, i ricercatori hanno individuato una seconda distorsione rappresentata dal fatto che si è considerato il consumo di unità alcoliche in generale, senza distinguere da dove derivano. Chi beveva birra e liquori, anche in quantità moderata, aveva infatti un rischio più alto di finire in ospedale per un evento che coinvolgeva cuore e vasi. Da ciò si arriva alla conclusione che anche “due bicchieri sono già troppi per il rischio cardiovascolare complessivo”, sottolinea il professor Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale Alcol – Centro Oms Promozione Della Salute e Ricerca Sull’alcol, Istituto Superiore di Sanità. “Dallo studio emerge che il consumo moderato per queste persone non riduce il rischio di andare incontro ad altri eventi cardiovascolari; anzi, dall’analisi è stato verificato che non si evidenzia il presunto effetto protettivo per la salute. In altri studi, per esempio, è emerso che nella donna un secondo bicchiere incrementa del 27% il rischio di cancro della mammella causato dall’iperstimolazione dei recettori ormonali del tessuto mammario che producono gli estrogeni, predisponendo a una più probabile trasformazione maligna di eventuali lesioni benigne”.
C’è una credenza, dura a morire, che un bicchiere di vino “toglie il cardiologo di torno”.
“È un’evidenza di fine secolo scorso, quella del cosiddetto paradosso francese, secondo cui gli astemi rischierebbero di più di chi beve 1-2 bicchieri di vino, ma più volte smentita da analisi successive. In pratica la valutazione complessiva di numerosi studi, e non di una singola osservazione, dimostra che la salute del cuore, più che di alcol o di vino, ha bisogno di stili di vita salutari, anche perché l’evidenza di ‘protezione’ si riferisce esclusivamente all’infarto del miocardio, mentre, per le stesse quantità aumentano i rischi di ictus e altre patologie cerebro-cardiovascolari, con un effetto netto tra presunti vantaggi e sicuri svantaggi, di pregiudizio alla salute”.
Tra i presunti benefici del vino si è spesso tirato in ballo un antiossidante, il resveratrolo…
“Gli antiossidanti in genere, per i quali ancora oggi i media e la produzione diffondono una narrazione scientificamente equivoca, è contenuto in quantità talmente bassa che è stato dimostrato si dovrebbero assumere 100 bicchieri di vino al giorno, per qualche mese, per poter verificare un qualunque effetto legato all’antiossidante, positivo o negativo che sia. Una fake news che continua a essere promossa dai media, oggi anche e soprattutto dai social, evidenti canali privilegiati per investimenti milionari da parte del settore della produzione tesi a far passare il valore dell’alcol basato sulle performance, sulla capacità di seduzione, di successo sociale, sessuale: nulla che l’alcol possa mantenere come promessa”.
Sta dicendo quindi che l’industria di alcolici interferisce sulla corretta informazione in merito ai danni di queste bevande?
“Secondo i rapporti dell’OMS l’industria di settore ha aumentato la sua influenza sulle raccomandazioni istituzionali da diffondere e le azioni da applicare per la corretta tutela della salute, ostacolando la produzione di politiche sull’alcol e il raggiungimento degli obiettivi di salute e di sviluppo prefissati dalle strategie delle Nazioni Unite nell’Agenda 2030”.
Quali sono questi obiettivi?
“La riduzione del 10 % dei consumi rischiosi di alcol entro il 2025, in pratica fra soli tre anni. L’OMS stima in 25 miliardi di euro l’anno i costi dell’alcol in Italia. Sulla base degli attuali livelli di consumo, le simulazioni dell’OCSE stimano che, in Italia, le malattie causate da un consumo di poco più di un bicchiere al giorno comportano una riduzione della produttività della forza lavoro e un aumento dei costi pari allo 0,7% della spesa sanitaria, che richiedono entrate aggiuntive con aumento delle tasse di 27 euro a persona l’anno. Una ‘diseconomia’, secondo l’OMS, più che una vera ricchezza che è fatta pagare solo dalla società”.
Sono dati eclatanti di cui si parla ancora poco.
“In Italia, le ricerche su alcol e prevenzione, anche più che altrove, sono ostacolate e definanziate. Gli stessi ricercatori e gruppi di studio che analizzano, verificano e propongono azioni di prevenzione basati sul monitoraggio dell’impatto del consumo di alcol e sull’evidenza scientifica sono considerati scomodi, marginalizzati e depotenziati nelle loro capacità e competenze per incrementare le buone pratiche di prevenzione nelle strategie e nelle politiche sull’alcol, prima causa di morte prematura, disabilità e malattia di lunga durata tra i giovani”.
Quali sono allora le linee guida concrete per il consumo di alcolici?
“Le linee guida del CREA (il più importante ente italiano di ricerca sull’agroalimentare, ndr) e la comunità scientifica affermano unanimemente che non esistono quantità sicure per la salute di consumo di vino, birra, superalcolici, cocktail, amari e alcolici in genere; aggiungendo che l’alcol è un cancerogeno anche a basse dosi e che nella prevenzione del cancro, limitare è doveroso ma non bere è la scelta migliore per la salute, come promosso dal Codice Europeo contro il Cancro e dalla recente Risoluzione del Parlamento Europeo per L’European Beating Cancer Plan”.
Anche il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (Wcrf) si limita a consigliare di non superare il bicchiere di vino, i 33 cl di birra e i 40 ml di superalcolici per non incorrere in gravi rischi di tumore. Andrebbe rivista pure questa raccomandazione?
“Le linee guida non sono un obiettivo da raggiungere ma un limite da non superare. Si tratta di puro buon senso, nessuna demonizzazione. Il limite va dato proprio per quanti desiderano comunque consumare alcolici. Noi cerchiamo sempre di porgere le evidenze scientifiche che mirano a favorire scelte informate per consumatori maturi e responsabili. Per esempio, va ricordato che sotto i 18 anni l’alcol deve essere zero per i maggiori danni anche cognitivi e cerebrali che qualunque quantità provoca almeno fino ai 25 anni, età in cui si completa la maturazione in senso razionale del cervello che è interferita da tutto l’alcol consumato nel periodo di finestra di vulnerabilità fisiologica tra i 12 e 25 anni. Le donne e gli anziani si fermano a un bicchiere: al giorno, non a pasto”.