Cinema

Lamb, tenerezza dolore e profonda umanità. Il film islandese di un esordiente è una sorpresa

La magnifica sceneggiatura siglata dallo stesso regista insieme al poeta islandese Sjón, noto soprattutto per la sua collaborazione a diversi testi di Bjork, è trasformata da Jóhannsson in un’avvincente regia, capace di declinare il realismo magico dentro a uno sguardo personale

di Anna Maria Pasetti

Una favola nera e insieme abbacinante, calda di umanità e avvolta nel mistero. Il film islandese dell’esordiente in regia Valdimar Jóhannsson è la bellissima sorpresa da cercare e gustare nelle sale dal 31 marzo dopo il plauso di critica e pubblico all’ultimo Festival di Cannes, sezione Un Certain Regard e successivamente nel capitolino Alice nella Città. Racconto che affonda le radici nella mitologia islandese, quello scritto e diretto da Jóhannsson coniuga autorialità (non casualmente in produzione esecutiva siede un maestro assoluto come l’ungherese Béla Tarr) e il cinema di genere horror-umanista mescolato al family drama di matrice scandinava, qui reso ancor più pop dalla presenza della star svedese-hollywoodiana Noomi Rapace.

Al centro è la vicenda di una giovane coppia di contadini e pastori nel cuore dell’Islanda che assistono alla nascita di una strana creatura dalle parziali sembianze di un agnellino femmina. La adottano quale loro figlia dandole il nome di Ada, tentando così di accelerare l’elaborazione di un lutto difficile da guarire. L’apparente equilibrio della famigliola è drammaturgicamente infranto per l’arrivo di un terzo personaggio, cui è affidato il compito di estrarre remote verità, laddove il desiderio di felicità non può giustificare l’assoluzione indenne per scelte e gesti non esattamente innocenti.

La magnifica sceneggiatura siglata dallo stesso regista insieme al poeta islandese Sjón, noto soprattutto per la sua collaborazione a diversi testi di Bjork, è trasformata da Jóhannsson in un’avvincente regia, capace di declinare il realismo magico dentro a uno sguardo personale. Con maestria, infatti, il cineasta classe 1978 riesce a lavorare sullo spazio rendendo intima la potenza immaginifica e imprevedibile del paesaggio islandese; allo stesso tempo mette a servizio della narrazione soprannaturale il rapporto tra il visibile e l’invisibile, utilizzando al meglio lo strumento linguistico del fuoricampo, ovvero ciò che esiste ma non è messo in scena davanti all’obiettivo. Ricco di tenerezza, tensione, stupore, dolore e profonda umanità, Lamb non può sfuggire a chi ama il cinema coraggioso.

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