Emissioni Zero Pfas, un’indagine epidemiologica sulla popolazione di tre province del Veneto e norme che impongano trasparenza nel trattamento delle sostanze perfluoroalchiliche da parte delle aziende. Sono queste le principali proposte che Greenpeace e l’associazione Mamme No Pfas hanno illustrato in audizione davanti alla Commissione ambiente del Senato, in merito al disegno di legge 2392 che riguarda l’introduzione di limiti di legge nazionali sulla presenza di PFAS nelle acque potabili e di scarico. “Chiediamo al Governo e al Parlamento di avere coraggio e adottare limiti zero per la presenza di tutti i Pfas non solo nelle acque destinate al consumo umano, ma anche negli scarichi industriali – hanno detto – Si tratta dell’unico valore che permette di garantire il diritto a vivere in un ambiente pulito e non contaminato”. La dichiarazione si basa sulla drammatica esperienza che si sta vivendo nelle province di Vicenza, Padova e Verona, teatro della più vasta contaminazione avvenuta in Europa e causata dall’azienda Miteni, attualmente sotto processo. “Serve una moratoria urgente sui Pfas, che non solo ne azzeri la presenza nelle acque reflue, ma che introduca anche il divieto di produzione e utilizzo in tutti i settori industriali. Il nostro Paese ha la possibilità di fare la storia e, con un provvedimento realmente ambizioso, anteporre i diritti di tutte le persone al profitto di pochi. È arrivato il momento di agire con urgenza e senza compromessi al ribasso”.

Il disegno di legge, infatti, non vieta in modo totale le emissioni, ma cerca di limitare la presenza dei Pfas, adeguandosi alle norme europee. Greenpeace e le Mamme No Pfas, che si sono avvalse anche della collaborazione di Claudia Marcolungo, dottore di ricerca in Diritto pubblico e già docente di Diritto ambientale dell’Università di Modena, hanno presentato una memoria scritta che indica i punti della proposta di legge che dovrebbero essere migliorati. Il dossier chiede al Parlamento di stabilire “un cronoprogramma che, partendo dalla fissazione dei limiti tendenti a Zero, preveda il progressivo e rapido divieto di utilizzo al fine di arrivare al divieto di produzione e di uso di queste sostanze”. Si dovrebbero normare le sostanze “attraverso limiti non solo per singola molecola, ma per sommatoria di classe e Pfas totali, che comprenda qualsiasi legame carbonio – fluoro di vecchia e nuova produzione, includendo in questo modo anche gli isomeri e i polimeri”. L’impostazione degli interventi, per legge, dovrebbe puntare ad agire sulle fonti di inquinamento per preservare la qualità dell’ambiente, anziché intervenire a posteriori con azioni di rimedio (quali la potabilizzazione delle acque) che “oltre ad essere generalmente poco efficaci, presentano costi non dovuti per la comunità, oneri che, nello spirito delle norme ambientali, dovrebbero essere a carico di chi inquina”.

La moratoria sui Pfas viene considerata indispensabile “per evitare il peggioramento dello stato dei corpi idrici, ma anche della qualità dell’aria e dei terreni che vengono in contatto con l’acqua, l’aria e i fertilizzanti che contengono queste pericolose sostanze. Un punto importante è costituito dall’obbligo che dovrebbe essere introdotto per le imprese di fornire agli enti di controllo o agli istituti di ricerca pubblici, i cosiddetti “standard analitici” sia delle molecole in uso, sia delle nuove molecole destinate al futuro impiego, prima della concessione alla messa in produzione di nuove sostanze per poter effettuare controlli incrociati. “Accade che gli enti pubblici siano disarmati – ha spiegato Giuseppe Ungherese di Greenpeace – perché senza ‘standard’ da usare nelle analisi le comparazioni non portano a dati trasparenti ed accessibili”. Se questo avvenisse prima della produzione di prodotti chimici, si potrebbe avere la certezza che essi non costituiscano un rischio di danni irreversibili per l’organismo umano, come avviene per i Pfas che praticamente non sono smaltibili.

Le aziende dovrebbero dotare gli impianti di sistemi di sicurezza per evitare l’immissione in ambiente dei Pfas, cominciando dal 2023, senza proroghe ad anni successivi. Ma la prospettiva dovrebbe essere quella di abbandonare totalmente i Pfas, evitando nel frattempo che i controlli degli scarichi siano affidati alle ditte stesse. Infine, un punto fondamentale è quello di avviare uno studio epidemiologico, da parte di un istituto scientifico indipendente, sulle popolazioni potenzialmente esposte a questi inquinanti, a partire dal Veneto dove la Regione si era impegnata ad avviarlo, ma non lo ha mai fatto, nonostante i cittadini interessati dall’inquinamento della falda e degli acquedotti siano circa 350mila.

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