Il 7 aprile prossimo Becciu potrà rispondere su tutte le accuse che gli sono state rivolte. L'imputato monsignor Mauro Carlino ha dichiarato che il pontefice fu contento dell'esito della trattativa per il palazzo con il broker Torzi
“Papa Francesco dispensa il cardinale Angelo Becciu dal segreto pontificio”. È quanto ha affermato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in una lettera indirizzata al presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone. Durante la prima parte del suo interrogatorio nel processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato nel quale è imputato, Becciu aveva affermato di voler “confermare il segreto pontificio” in merito ad alcune accuse, in particolare quella di peculato in concorso con la manager Cecilia Marogna. Il porporato si era detto, però, “disposto ad accettare quello che sarà deciso dalle autorità competenti”. Da qui la richiesta di Pignatone al cardinale Parolin che ha trasmesso al Tribunale la decisione di Bergoglio.
Il 7 aprile prossimo Becciu potrà rispondere su tutte le accuse che gli sono state rivolte. La decisione del Papa è stata resa nota all’inizio dell’undicesima udienza del processo che si sta svolgendo in Vaticano. Udienza interamente dedicata all’interrogatorio dell’altro imputato ecclesiastico nel procedimento: monsignor Mauro Carlino che ha lavorato a lungo in Segreteria di Stato. In aula Pignatone ha anche riferito che il promotore di giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha aperto un ulteriore procedimento sul finanziamento della Cei alla diocesi di Ozieri, in Sardegna. Per altri finanziamenti allo stesso ente e alla Cooperativa Spes, braccio operativo della Caritas diocesana legalmente rappresentata dal fratello del porporato, Antonino, è sotto accusa il cardinale Becciu nel processo già in corso.
“Non ho mosso un dito senza avere l’autorizzazione dei superiori”, ha spiegato ai magistrati monsignor Carlino riferendosi in particolare al periodo in cui era segretario del sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Edgar Peña Parra. “Di tutto ciò che stava avvenendo – ha aggiunto il sacerdote – ho informato costantemente sia il segretario di Stato che il Santo Padre. Mi ha meravigliato essere stato rinviato a giudizio. Il sostituto mi chiese fedeltà, obbedienza e riservatezza. Io altro non potevo compiere. Dopo pochi mesi trovai questo pasticcio. Non sapevo del palazzo di Londra fino al gennaio 2019 quando monsignor Peña Parra mi disse che c’era un problema per un grande errore dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato di cui io non facevo parte”.
L’errore, ha spiegato monsignor Carlino, “riguardava le mille azioni con diritto di voto lasciate a Gianluigi Torzi con cui lui poteva continuare a gestire il palazzo anche dopo l’acquisto da parte della Segreteria di Stato. La volontà del Papa era di spendere il meno possibile per tornare in possesso del palazzo”. Carlino ha precisato, inoltre, che il suo ruolo era semplicemente quello di mantenere i rapporti con il broker, aggiungendo che il sostituto gli disse che monsignor Alberto Perlasca, il testimone chiave dei pm vaticani, “si era manifestato infedele e disobbediente. I contratti sul palazzo di Londra sono stati firmati da monsignor Perlasca senza l’ok del superiore: qui è stata la grande infedeltà”. Riguardo all’esito della trattativa con Torzi, monsignor Carlino ha reso noto che fu deciso dal sostituto di pagare 15 milioni di euro per chiudere il rapporto con il broker e così far rientrare la Segreteria di Stato nella piena proprietà del palazzo di Londra. Un traguardo, ha precisato, infine, il sacerdote, che fu festeggiato con una cena offerta dal sostituto a nome del Papa.