Società

Corsa agli armamenti o disarmo globale? Serve un dibattito pubblico serio

L’invasione dell’Ucraina, come la miriade di conflitti armati in corso nel mondo, conferma che oggi, più che mai, polemos kakos, che la guerra è un male, come scriveva già Omero nell’Iliade. Ma le guerre moderne, lontane anni luce da quelle dell’antica Grecia – annota nei suoi scritti Umberto Curi – sono distruzione senza limiti, ottenuta con tecnologie belliche sempre più sofisticate e devastanti. Dai combattimenti tra eserciti in campo aperto, che sono assoggettati a regole inderogabili e non coinvolgono la popolazione inerme, siamo passati ai bombardamenti a tappeto, alle stragi perpetrate con gli strumenti più letali, senza più distinzione fra civili e soldati, tra ospedali e caserme, tra scuole e basi militari. Lo scopo è annientare l’avversario.

Ebbene la reazione imperante alla guerra in Ucraina appare dettata dalla saggezza latina, dalla logica intramontabile del “si vis pacem para bellum”. Insomma dobbiamo riempire gli arsenali, perché la deterrenza del sistema di difesa può senza dubbio inibire l’aggressione straniera. Certo non è ragionevole pensare di rispondere con le fionde a chi sia in grado di lanciare missili intercontinentali. Questa è la posizione dei governi dell’Unione europea, che hanno deciso in questi giorni di spendere di più per le armi. Ferrea è la volontà di preservare con ogni mezzo le democrazie occidentali dalla minaccia di potenze autocratiche e ostili ai nostri valori.

Un approccio diverso è quello di chi sostiene che la pace si possa ottenere solo “preparando la pace”, magari stringendo accordi per il completo disarmo globale. È anche il punto di vista di Papa Francesco, che condanna e “si vergogna” per l’aumento delle spese militari. Questa opinione dissidente nasce dalla piena consapevolezza dei rischi insiti nella corsa agli armamenti e in un’eventuale guerra mondiale e nucleare, con l’agghiacciante prospettiva di un definitivo big-bang.

La prima tesi si poggia sull’accettazione, talvolta utilitaristica, del mondo “as it is”, così com’è, sulla convinzione che i conflitti tra le nazioni siano praticamente inevitabili. La seconda si fonda sull’utopia di una futura umanità migliore o, per dirla con Gianrico Carofiglio, sulla scelta di “dire no all’idea che si possano accettare come normali le guerre”. Nel suo ultimo saggio, La nuova manomissione delle parole (Feltrinelli, 2021), lo scrittore pugliese rispolvera il pensiero di Don Milani su questo tema e in particolare sull’art. 11 della Costituzione, che contiene appunto un radicale rifiuto della guerra.

Forse non è più rinviabile un dibattito pubblico serio su queste due concezioni (e opzioni), entrambe munite di elementi di verità dei quali è utile tenere conto. L’iniziativa potrebbero prenderla i nuovi sindacati militari, e ci sono dei segnali in questo senso. Attendiamo fiduciosi.