“L’Europa deve smettere di comprare combustibili fossili dalla Russia. Così sta finanziando la guerra”. Questa è la richiesta di Arshak Makichyan. Il 27enne armeno – noto per aver iniziato una protesta solitaria di Fridays for Future a Mosca nel 2019 – al momento si trova a Berlino. Ha superato insieme alla moglie, Apollinaria Oleinikova, fotografa e anche lei attivista, il confine polacco per prendere parte all’ultimo sciopero globale per il clima del 25 marzo e denunciare “le violazioni dei diritti umani che Putin sta mettendo in atto con i soldi di petrolio e gas”. Negli scorsi giorni una delegazione di attivisti provenienti dall’Ucraina, Ungheria e Polonia ha parlato della dipendenza energetica europea a Bruxelles, con i rappresentanti di Nato e Unione Europea. Makichyan non era con loro, ma dalla Germania ha invitato, insieme alla 16enne ucraina Arina Bilai, gli ambientalisti di tutto il mondo a scendere in piazza, durante un briefing online del Global Strategic Communications Council – una rete filantropica di pubbliche relazioni che aiuta gli scienziati del clima e gli attivisti a promuovere il loro lavoro.
“Stiamo chiedendo un embargo per l’acquisto di combustibili fossili russi e una transizione alle energie rinnovabili – spiega il giovane ambientalista – Il governo di Putin non sta usando i soldi europei solo per comprare yacht e costruire palazzi, ma anche per reprimere la società civile, comprare armi e uccidere gli ucraini”. Dall’inizio della guerra, Makichyan si è espresso più volte contro le azioni di Mosca. Nell’ultima settimana ha dovuto lasciare il Paese per evitare eventuali ritorsioni. Partito con l’idea di rimanere in Germania per due settimane, ora Makichyan non sa quanto ritornerà. Dopo i primi giorni di riposo, si è messo al lavoro per rivedere “i propri strumenti come attivista in Europa” e non perdere l’occasione di manifestare contro i conflitti fossili. “Qui l’azione climatica è popolare, in Russia è totalmente diverso”, racconta. Prima di iniziare la sua protesta settimanale – che gli è valsa sei giorni di prigione nel 2019 – era un violinista, ma “richiedeva una concentrazione e un lavoro mentale” difficile da conciliare il suo impegno ambientalista.
Fridays for Future Russia è iniziato con lui a Mosca: ispirato da Greta Thunberg, è sceso in piazza tutte le settimane. I suoi tentativi di organizzare scioperi più partecipati sono stati ostacolati, ma Makichyan non si è arreso. Così, grazie al suo esempio sono nati movimenti simili in “altre cinque città”, anche se con grande difficoltà. “Da noi protestare è pericoloso. Non c’è una cultura dell’attivismo e al governo non piace che si organizzino cose del genere: anche per una manifestazione di 20 o 30 persone abbiamo bisogno di un permesso legale”, spiega. L’economia di Mosca è fortemente legata all’estrazione e alla vendita di combustibili fossili e lo stesso vale per le attività lavorative di molte persone. Quindi “non si parla di cambiamento climatico. Non avevo informazioni e cercavo di leggerle in inglese – racconta – per provare a diffondere la consapevolezza nelle persone”. Con la pandemia e le conseguenti restrizioni scendere in piazza è diventato ancora più difficile, se non “quasi impossibile”: “Il Covid 19 è stato il pretesto per ridurre ulteriormente i nostri diritti umani – afferma Makichyan – La stampa, i media indipendenti e gli attivisti politici sono stati spaventati. Hanno iniziato ad arrestare anche chi manifestava da solo, senza autorizzazioni”.
Con la guerra la situazione è ulteriormente peggiorata: “Solo nominare la parola guerra può costarti 15 anni di carcere. Dobbiamo chiamarla operazione speciale. E la situazione sta peggiorando, ormai è tutto imprevedibile”. L’ambientalista armeno è in contatto con molti amici che stanno cercando di lasciare il Paese. Con la sospensione dei voli verso l’Unione Europea, spostarsi è diventato molto costoso. La strada più semplice è il confine polacco: “Io e mia moglie eravamo in contatto con il governo polacco. Per chi non ha queste connessioni andarsene è impossibile. Molti sono bloccati in Russia”. Il futuro è imprevedibile anche per Makichyan e Oleinikova, ma a Berlino i due hanno l’occasione di “alzare la voce e dire che questa guerra non ci appartiene. È strano che tutto questo riguardi proprio il nostro Paese. Ma non è un problema solo della Russia – ribadisce – Anche l’Europa è coinvolta, se continua a finanziarla con gas e petrolio”.