Fino a qualche settimana fa, i treni provenienti da tutto il Paese e diretti verso il confine con l'Unione europea arrivavano carichi di rifugiati e ripartivano vuoti o con a bordo combattenti e volontari. Oggi non è più così e diverse famiglie fuggite dal Paese hanno deciso di tornare: "Adesso sembra meno rischioso - raccontano - Siamo stati accolti dalla Polonia, ma non ce la facciamo più"
“Torniamo a casa perché vivere da sfollati in Polonia non andava più bene. Inoltre la situazione sembra migliorare, anche se l’altro giorno i russi hanno lanciato un missile vicino al centro di Leopoli”. Iryna, una donna ucraina elegante seppur stremata, ha con sé tre bambini, due maschi e una femmina tra i 4 e i 10 anni, e ha il suo bel daffare per tenerli a bada. La loro vivacità, soprattutto quella dei due maschietti, si manifesta all’interno della stazione ferroviaria di Przemysl, affollata, rumorosa e operativa. Rispetto ai primi giorni di marzo emerge una differenza sostanziale. Iryna e altre lo confermano. Il flusso in uscita dall’Ucraina verso la Polonia e gli altri Stati europei disposti ad accogliere i profughi è sempre costante, ma da qualche giorno si sta assistendo a un’inversione di tendenza: gli ucraini, o meglio le donne ucraine con figli al seguito, iniziano, piano piano, a tornare a casa. “È così, fino alla settimana scorsa vedevamo soltanto nuclei familiari scappare, adesso alcuni stanno decidendo di tornare – conferma Steve, volontario arrivato in Europa orientale da Detroit, Michigan – Ora hanno ristabilito il collegamento Przemysl-Kiev, servizio passeggeri ordinario, mentre di solito i treni arrivavano pieni e ripartivano semivuoti verso Leopoli. Sono qui da una decina di giorni ed effettivamente sento che qualcosa sta cambiando, magari è soltanto un’impressione”.
I pochi posti sui convogli diretti in Ucraina, con fermata quasi obbligatoria nel capoluogo dei Carpazi, erano riservati esclusivamente a poche figure: uomini disposti a tornare in patria per combattere o aiutare il Paese, volontari da ogni parte del mondo, operatori sanitari, giornalisti, tecnici. La via più comoda per evitare il caos della frontiera stradale di Medyka, le code infinite e la necessità di trovare un trasporto. In treno è molto più agevole, come vedremo più avanti. È il tardo pomeriggio e nell’androne principale della stazione ferroviaria di Przemysl è un via vai costante di gente, sempre donne e bambini, qualche anziano. La macchina operativa dell’accoglienza messa in piedi dai polacchi è impressionante. Dentro la stazione ci sono sportelli per caffè, bibite e snack, le sale d’attesa sono state trasformate in dormitori e il personale viaggiante della rete è impegnato a smistare i profughi dando tutti i consigli e le informazioni possibili. A colpire è la loro calma e disponibilità. Fuori una ong tedesca prepara hamburger che vanno a ruba. Il contingente di volontari internazionali, soprattutto ragazze da ogni parte d’Europa (con eccezioni come Steve da Detroit), è ricco. Chi gioca coi bambini, chi sostiene moralmente, e non solo, le mamme provate dalla stanchezza fisica e psicologica. L’unico strumento in grado di tenerle attive è il telefonino (c’è anche un punto assistenza per i cellulari, con donazione di schede prepagate, caricatori e power bank, manutenzione e ricarica), perennemente collegate con i mariti in Ucraina o il resto della famiglia: “Ne abbiamo discusso a lungo io e mio marito – spiega Iryna – Restare a Varsavia in una situazione precaria stava diventando sempre più difficile. Da sola con tre figli, ospitata da una conoscente, non ce la facevo più e così abbiamo deciso di rientrare a Leopoli. Quasi un mese fa, quando la guerra era appena iniziata, la paura era tanta, restare sarebbe stato rischioso e così ce ne siamo andati. Ora le cose sembrano andare meglio, forse, ma nel dubbio preferiamo stare a casa”.
Iryna e i tre figli sono saliti sul convoglio in partenza dal binario 5 della stazione di Przemysl alle 22.35 (in realtà si muoverà solo dopo un’ora e mezza). Siamo nell’area mostrata a profusione dai tg nei primi giorni dell’emergenza, dove i treni dall’Ucraina arrivavano carichi di sfollati. Per accedere al lato ‘ucraino’ delle partenze e degli arrivi bisogna fare un lungo giro e superare i controlli della polizia militare polacca. Quella ucraina compare a bordo treno quaranta minuti dopo la partenza al confine territoriale: quattro soldatesse armate, tra fucili e dispositivi di ultima generazione per scannerizzare i passaporti. Lo scompartimento è pieno di donne e bambini e si svuota per una buona metà alla stazione di Leopoli. Si torna a casa, ma in una città meno colpita dalla guerra. A bordo restano alcuni nuclei familiari. Tra loro Jenia e sua figlia: “Stiamo tornando a Ternopil (140 chilometri a est di Leopoli, 400 da Kiev), lì la guerra è arrivata appena e in Polonia, dove siamo state alcune settimane, non stavamo bene. Meglio vivere a casa nostra e rischiare invece di sopravvivere da profughi in un Paese straniero, anche se ci ha accolto bene”.
Il vagone è ormai vuoto, ma a Vinnycja, 280 chilometri a sud-ovest della capitale, tutto cambia. I passeggeri salgono numerosi, ma sono tutti uomini, in borghese e non, hanno l’aria di essere coinvolti in qualche modo nel conflitto. Alcuni sono stranieri, parlano inglese e non vanno nella capitale in vacanza. Poco prima di mezzogiorno, dodici ore dopo la partenza da Przemysl, il treno arriva alla stazione centrale e ad accoglierlo c’è il suono delle sirene anti-aeree. Benvenuti a Kiev.