Appalti truccati, affidamenti diretti di servizi pubblici a soggetti vicini ai clan, voto di scambio e corruzione. Le mafie continuano a inquinare la vita amministrativa delle città. Dal 1991 al 2021 in Italia sono stati emessi 365 decreti di scioglimento di enti per infiltrazione mafiosa: una media di un Comune al mese. A poco più di trent’anni dall’approvazione del decreto che ha introdotto lo scioglimento delle amministrazioni locali per mafia, è questo il quadro che viene fuori dal dossier Le mani sulle città redatto da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.

I Comuni sciolti del 2021
Lo scorso anno sono stati 14 i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa: 4 in Calabria (Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Crichi e Rosarno), 4 in Puglia (Foggia, Squinzano, Carovigno e Ostuni), 4 in Sicilia (Barrafranca, San Giuseppe Jato, Bolognetta e Calatabiano) e 2 in Campania (Marano di Napoli e Villaricca). Nella maggior parte di questi enti (8 su 14) il sindaco guidava una maggioranza sostenuta da liste civiche, mentre 4 erano amministrati da giunte di centrosinistra e 2 di centrodestra. Sono questi gli ultimi decreti di scioglimento dei 365 emessi in Italia dal 2001. Considerando gli scioglimenti plurimi sono, in totale, 275 gli enti sciolti in questi trent’anni di applicazione della legge, tra Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Piemonte, Liguria, Lazio, Basilicata, Lombardia, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta.

Record e maglia nera
Per la Calabria si tratta del quindicesimo anno consecutivo con il primato di regione con il più alto numero di Comuni sciolti, anche se nel 2021 a pari merito con Puglia e Sicilia. Marano di Napoli, comune a pochi chilometri dal capoluogo campano, registra invece un record assoluto: è il primo ente locale italiano ad essere stato sciolto ben quattro volte (1991, 2004, 2016 e 2021). Mentre Foggia è il secondo capoluogo di provincia sciolto dal 1991, il primo era stato Reggio Calabria nel 2012.

Le relazioni prefettizie
Come previsto dalla legge per arrivare allo scioglimento di un Comune non è necessaria la sentenza di un tribunale o che siano state disposte misure di prevenzione, ma è sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Tutto questo tramite un complesso procedimento di accertamento, effettuato dal Prefetto attraverso un’apposita commissione di indagine (la commissione d’accesso). Nonostante questo dal dossier di Avviso Pubblico, che ha analizzato i decreti di scioglimento e le relazioni prefettizie, emerge come nella quasi totalità dei casi l’accesso al Comune è avvenuto in seguito alle risultanze di indagini giudiziarie o dopo operazioni svolte dalle forze di polizia. Unica eccezione riguarda lo scioglimento del Comune di Guardavalle per il quale l’accesso è stato disposto dopo un servizio giornalistico di una trasmissione televisiva su una statua donata al Comune da una famiglia legata alla ‘ndrangheta.

I settori di ingerenza mafiosa
Il cuore delle relazioni prefettizie è costituito dall’analisi dei settori della vita pubblica che sono inquinati dagli interessi della criminalità organizzata. Ovviamente lo scopo principale delle mafie è quello di ricercare tutte le occasioni di infiltrazione nell’economia locale. Appalti e gestione di servizi pubblici sono i principali ambiti di azione. Per farlo si mettono in pratica procedure illecite ed elusive che consentono di violare o di aggirare tutte quelle norme nate proprio per prevenire le infiltrazioni: affidamenti diretti, il ricorso alla somma urgenza o l’artificioso frazionamento degli appalti stessi, per far sì che questi restino “sotto soglia”. Le attenzioni mafiose, così, finiscono per coprire l’intero spettro delle competenze comunali: non solo edilizia e urbanistica ma anche riscossione dei tributi locali, gestione dei beni confiscati (generalmente abbandonati), passando dalla gestione dei rifiuti e arrivando anche ai servizi cimiteriali.

Il sostegno elettorale
Un elemento quasi costante riguarda l’inquinamento elettorale: si va dal sostegno elettorale diretto all’esponente prescelto, anche con intimidazioni nei confronti di altri candidati (è il caso di San Giuseppe Jato), fino agli appoggi bipartisan. “Nel caso di Rosarno – si legge nel dossier – la relazione parla addirittura di vera e propria partecipazione dei clan alla scrittura del programma elettorale, a dimostrazione di quanto pervasivo fosse il rapporto”. Ci sono casi anche casi di soggetti non eletti che ottengono comunque una compensazione: è quanto avvenuto nel Comune di Carovigno dove, “all’indomani delle elezioni, a una candidata non eletta (parente di esponenti dei clan) è stata affidata l’organizzazione di eventi nel centro storico della città”.

Soggetti coinvolti
Sotto la lente di ingrandimento non solo il ruolo degli amministratori locali ma anche quello dei dipendenti comunali: nelle relazioni prefettizie vengono elencati elementi di collusione, scelte amministrative inquinate dalle organizzazioni criminali, parentele e frequentazioni con soggetti appartenenti ai clan o vicini agli ambienti mafiosi. Nelle relazioni relative al 2021 sono 92 gli amministratori locali coinvolti, a vario titolo, nelle relazioni e ben 111 i dipendenti comunali.

I limiti della legge
Ma a trent’anni dalla sua introduzione la legge, secondo Avviso Pubblico, ha manifestato una serie di limiti e di criticità. Per questo l’associazione propone al Parlamento delle modifiche: dall’ampliamento delle forme di trasparenza a maggiori strumenti per i commissari, puntando anche sull’informazione rivolta ai cittadini rendendoli più partecipi del percorso di ripristino della legalità.

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