È l’11 agosto 2020 quando il presidente Vladimir Putin in persona presenta al mondo il vaccino Sputnik V. La Russia annuncia di essere il primo paese ad aver messo a punto un composto per bloccare il coronavirus Sars Cov 2 e prevenire il Covid. Sul questo primato, ma soprattutto sui dati scientifici pubblicati successivamente sulla prestigiosa rivista The Lancet, la comunità scientifica esprime molti dubbi. Anche se l’idea del doppio vettore virale viene accolta con ammirazione e i test sull’efficacia pari al 91,5% spingono diversi paesi compresa la Germania, guidata da Angela Merkel, a valutarne l’uso anche in assenza di un via libera dell’Agenzia europea del farmaco (Ema). Una approvazione che non è mai arrivata nonostante fosse stata annunciata la rolling review.

Ma intanto nella primavera del 2021 – quando i produttori degli altri vaccini Pfizer (Biontech) e Astrazeneca (Oxford) consegnavano in ritardo le dosi dei loro composti – comincia la marcia del vaccino in Europa e nel resto del mondo. In Italia il prestigioso Istituto per le Malattie infettive di Roma Spallanzani annuncia una collaborazione con il centro Gamaleya di Mosca, che aveva sviluppato il vaccino poi distribuito da un fondo sovrano: “La scienza deve essere neutra” dice il direttore sanitario Francesco Vaia. Con il tempo però le perplessità sul vaccino – distribuito in numerosi paesi del mondo e anche nella vicinissima San Marino – non si dissolvono e anzi dal Brasile a fine aprile arriva la notizia che il vaccino era stato bloccato perché l’adenovirus si replicava e poteva essere rischioso.

È il 13 maggio 2021 quando proprio su The Lancet alcuni scienziati scrivono una lettera esprimendo “serie preoccupazioni su dati, protocollo e determinazione dell’efficacia” tanto da far twittare al celebre professor Eric Topol la frase: “Sputnik, abbiamo un problema”. Tra i firmatari della lettera c’è il professor Enrico Bucci, biologo della Temple University di Philadelphia negli Usa, che da mesi chiedeva chiarezza sui dati sollevando più di una perplessità sull’efficacia del composto. Chiarezza che lo scienziato ha continuato a chiedere nei mesi successivi e che chiede anche in questi giorni.

Intanto la scorsa estate gli scienziati russi sono arrivati a Roma per eseguire test di siero neutralizzazione sulla variante Delta sia sul ceppo originario. Ma i risultati di questi test non sono mai emersi o resi noti. Anche in dicembre sono stati eseguiti test, questa volta su Omicron, e lo scorso gennaio i dati sono apparsi MedrXiv, rivista pre-print non sottoposta a revisione. Revisione che però è arrivata ancora dal biologo che in un lungo articolo su Il Foglio ha evidenziato una serie di incongruenze nello studio firmato dai ricercatori russi e quelli italiani. Nello studio si sostiene che due dosi di vaccino Sputnik V indurrebbero una risposta anticorpale più duratura rispetto al vaccino Pfizer-Biontech, ma per lo scienziato i risultati “sono privi di significato, a causa del disegno stesso dello studio. Per capirlo, non servono raffinati strumenti di statistica, ma basta qualche semplice considerazione”. I due piccolissimi gruppi analizzati vengono confrontati su tempi diversi: “Paragonare per esempio vaccinati da Sputnik da tre-sei mesi con vaccinati da Pfizer/BioNTech da sei mesi è ovviamente scorretto, perché il primo gruppo conterrà anche molti vaccinati da meno di sei mesi, che quindi sono attesi avere anticorpi più elevati rispetto a quelli vaccinati da sei mesi”. Nessun dato o pubblicazione sullo studio sui vaccinati Sputnik di San Marino. E nessuna evidenza sull’ipotesi di utilizzarlo come booster.

Mentre accadeva questo il vaccino Reithera – a vettore virale – in cui proprio lo Spallanzani era principal investigator veniva messo da parte. E nel maggio del 2021 ad azzoppare il progetto italiano con un vaccino a vettore virale interviene anche la Corte dei conti. I rischi di trombosi evidenziati da altri vaccini a vettore virale come Astrazeneca, sviluppato da Oxford, e Janssen (Johnson&Johnson) probabilmente contribuiscono al resto. Ma anche lo Sputnik è a vettore virale, doppio per giunta. Qual era quindi la motivazione scientifica per abbracciare il progetto del vaccino russo sviluppato con la stessa tecnologia di quello di Reithera? Apparentemente nessuno. Nei giorni scorsi il quotidiano La Stampa in un lungo articolo sul caso riporta che “un importante dirigente dello Spallanzani nel giugno 2020, due mesi prima che Putin annunciasse l’approvazione di Sputnik, viene avvicinato da funzionari di stato russi che gli offrono parecchi soldi (circa 250 mila euro), ma lui prima ancora di farli finire, chiama i carabinieri e infatti qualche giorno dopo si presentano all’Istituto due signori dei Servizi per parlare con lui”. Anche proprio Vaia rispondendo a una domanda di Repubblica ammette che fu fatta un’offerta dalla delegazione russa. C’è un’inchiesta per corruzione della procura di Roma? Al momento tutti gli sforzi fatti per cercare una conferma sono andati a vuoto. Resta solo l’ombra.

Non è invece un dato incerto che alcuni altissimi profili dello Spallanzani siano pian piano usciti di scena per andare a lavorare altrove o in pensione. Il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico, ha lasciato l’istituto per guidare il Dipartimento della ricerca scientifica al ministero della Salute, la professoressa Maria Rosaria Capobianchi, la prima scienziata a isolare il virus in Europa, è andata in pensione anticipata. Anche l’infettivologo Nicola Petrosillo. Alcuni all’interno dell’Istituto si ritiene che siano addii dovuti alla contrarietà all’operazione Sputnik, ma nessuno di loro commenta questa ipotesi. La lista comprende anche altri dirigenti che hanno lasciato da quando come facente funzione, in sostituzione della dottoressa Marta Branca, è diventato Francesco Vaia. Proprio oggi alla Commissione sanità della regione Lazio è arrivato il voto favorevole alla usa nomina. Il medico, 67 anni (che in passato ha beneficiato di una prescrizione per corruzione ma a dicembre è stato insignito del Cavalierato della Gran Croce dal Quirinale) è quindi confermato come direttore Direttore Generale dell’Istituto. Lo scorso dicembre nel decreto Capienze era stato votato un emendamento di Italia Viva per far passare l’età massima dei direttori generali da 65 a 68 anni.

I dirigenti sanitari e amministrativi dell’ospedale romano hanno scritto all’assessore alla sanità Alessio D’Amato per rigettare “in toto interpretazioni fuorvianti che in questi giorni stanno circolando a mezzo stampa su presunte spy story”. Due giorni fa sul punto era intervento lo stesso presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: “Noi non abbiamo cambiato idea ma come la Merkel in Germania e le altre Regioni che hanno la produzione industriale, se quel vaccino dovesse passare le valutazioni europee vorremmo produrlo qui per creare ricchezza e lo ridirei altre cento mila volte, ovviamente se l’Europa validasse il vaccino”. Ma l’Ema da tempo ha interrotto la valutazione avviata oltre un anno fa.

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